In un Paese nel quale gli intellettuali mai mollano l’osso, nell’ansia di proteggere visibilità, narcisismo o potere (sia pure un simulacro di potere), lo scrittore/filosofo Beppe Sebaste molla la rubrica culturale su l’Unità senza averne pronta un’altra, più pagata. L’aveva intitolata «I lunedì al sole», ispirandosi a un bel film spagnolo che parla di un gruppo di disoccupati intenti a crogiolarsi, malinconicamente, nella «libertà» del proprio fallimento. Ha spiegato: «È una decisione personale e privata, anche se non rinnego quanto ho sostenuto così spesso sulla scia degli anni Settanta (non anni di piombo, ma anni di carne): che il personale è politico, e spesso viceversa».
Mi sono incuriosito. Di solito, chi vive di penna, specie se non garantito, tende a moltiplicare le collaborazioni. Sebaste, invece, lascia. Ignoro i motivi «personali e privati», ma tenderei ad escludere censure o malumori, insomma intoppi di natura giornalistica. Però, nel ribadire l’onore e il piacere di aver scritto su quelle pagine, confessa (allusivamente?) che «lo stile, come sapevano gli antichi, è una postura etica: lo stile è politico e di vita». Un lettore, qualche giorno dopo, ha inviato un’accorata missiva a Sebaste, perché ci ripensasse. Voleva un commiato meno amaro, se possibile più aspro: chiedeva spiegazioni. Capisco.
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