Il filosofo Ma un meneghino si lamenterà sempre della città

I soldi non fanno la felicità dell’uomo, quando sono pochi; ma anche quando sono tanti non è detto che rendano felici. Ecco che allora, in questi tempi tecnologici, in cui ci si affida in tutto e per tutto ai calcoli sofisticati di intricate proiezioni matematiche, non si poteva lasciare all’arbitrarietà di giudizi personali o a interpretazioni filosofiche la valutazione di come e di quanto piaccia o non piaccia la vita quotidiana.
Il presidente francese Sarkozy ha affidato a una commissione presieduta dal premio Nobel Joseph Stiglitz la revisione del Pil, introducendo dei parametri che non fossero strettamente economici, per valutare concretamente la qualità della vita nel contesto della ricchezza prodotta dal paese. Era prevedibile che l’iniziativa francese sarebbe stata contagiosa, perché la gente si sente presa in giro quando le viene detto che il suo è uno dei Paesi più ricchi del mondo, ma poi non vede questa ricchezza concretizzarsi in cose che gli rendano davvero migliore l’esistenza.
Dunque, un campanello d’allarme per la politica che ritiene di governare con lo sguardo fisso agli indici della finanza e dell’economia, ma anche una sveglia per coloro che campano nella cultura del lamento. Tra questi ci sono i concittadini milanesi. Sappiamo, è proverbiale, che gli italiani sono molto bravi a denigrare se stessi per ciò che hanno, che fanno, che ricevono. Però, in questo esercizio autolesionistico, i milanesi sviluppano all’ennesima potenza il vezzo italico di parlare male di sé.
I parametri della commissione Stiglitz sono stati usati per valutare la qualità della vita delle città italiane, ed è risultato che si sta meglio a Milano che a Roma. E di gran lunga. Premetto che ho molte riserve sulla possibilità di valutare oggettivamente la qualità, qualunque essa sia, tuttavia esistono indubbiamente degli indici che consentono di misurare il modo di vivere e quindi di fotografare il benessere di una città, di una nazione.
Per esempio, a Roma le relazioni sociali sono più facili e immediate che a Milano, oppure si vive di più all’aperto che nel capoluogo lombardo, ma se il traffico impedisce di incontrare gli amici, se lo smog, la confusione rendono fastidiose le soste ai tavolini di un bar, è evidente che queste potenziali qualità di Roma vengono vanificate da situazioni reali. Chi è ancora in grado di avvertire la piacevolezza del ponentino romano, bloccato dalle colate di cemento che si ergono verso il cielo? E se un romano si ammala? La qualità degli istituti milanesi di cura e di ricerca medica è di livello mondiale. E se ci si vuole divertire? Trascorrendo il tempo al cinema, in teatro oppure in discoteca? Meglio Milano di Roma. E se si vuole studiare? Il sistema universitario milanese è migliore di quello romano.
Comunque, l’interesse di questa misurazione non consiste nel tirare le somme per stabilire chi vince la vecchia competizione fra le due più importanti città italiane piuttosto nel capire il modo in cui si è proceduto nella valutazione delle loro qualità. Vengono superate le impressioni personali, i campanilismi, i compiacimenti autolesionistici, e nei limiti di specifiche misurazioni di parametri si dà un punteggio all’ambiente, ai tempi per ottenere alcuni servizi fondamentali, al livello dell’offerta di studio, di intrattenimento. Il quadro che emerge è utile per chi governa la città, ma rende anche consapevoli i cittadini di ciò che veramente hanno e di cui si lamentano oppure che non hanno e con superficialità pensano di avere. Sono convinto che questo sistema per la valutazione della qualità della vita si estenderà a macchia d’olio. Ma sono anche convinto che dopo tutti i calcoli più sofisticati se un romano trova piacere nel passeggiare per Villa Borghese ti dirà che non si trasferirà mai a Milano anche se un Premio Nobel gli spiegherà che lì si vive meglio.

E un milanese continuerà a lamentarsi della sua città anche se un premio Nobel gli dimostrerà, dati alla mano, che nella sua città non si sta poi tanto male. Non siamo di fronte a inossidabili pregiudizi, ma all’indecifrabile potere della tradizione e della storia che non si lascerà mai sopraffare dalle misurazioni scientifiche.

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