Finanza sostenibile

Nella regolamentazione della finanza sostenibile regna il disordine, ogni Paese agisce in autonomia

Solo l’Unione europea sembra decisa a lavorare per la chiarezza. Nel pianeta ci sono trenta regolamenti diversi

Nella regolamentazione della finanza sostenibile regna il disordine, ogni Paese agisce in autonomia

Il mercato dell’Unione europea sembra essere quello più adatto alla finanza sostenibile e alle sue evoluzioni. La Commissione e la Banca centrale sono infatti alcune tra le istituzioni più determinate a riscrivere le regole del gioco con cui si dovranno misurare società quotate e fondi di investimento. Un’azione che faciliterà le scelte dei risparmiatori e che costringerà i vari operatori economici a fare i conti con l’impatto delle loro scelte sull’ambiente e sulla tutela delle risorse energetiche. Una piccola rivoluzione copernicana che finirà per aumentare la consapevolezza in diversi comparti: consumatori, investitori e istituti di credito pretenderanno chiarezza e univocità rispetto alla governance di questa materia. Un
contagio che finirà per incentivare anche gli investimenti su processi produttivi e smaltimento degli scarti della produzione.

Il ruolo da apripista del Vecchio Continente non è un caso isolato. Anche altri mercati stanno cercando di mettere ordine in una questione che oggi viene gestita senza troppa chiarezza. Un dettagliato focus pubblicato dall'agenzia Reuters ha evidenziato come in giro per il pianeta ci siano ben trenta regole sulla cosiddetta tassonomia. Una sorta di manuale in cui vengono riassunte le norme per stabilire la sostenibilità di un investimento o di un determinato prodotto finanziario. Lo scopo di ogni ordinamento è quello di favorire indici univoci e allontanare lo spettro del greenwashing: pratica che consiste nel rendere – o nel rappresentare – come ecocompatibili delle azioni o degli investimenti che in realtà mantengono un alto impatto sulle risorse ambientali.

Ingrid Holmes, coordinatrice del tavolo di esperti che lavorano alla tassonomia da applicare nel Regno Unito, ha sottolineato la mancanza di politiche univoche: “Nonostante gli intendimenti a livello internazionale è una materia in cui si riscontrano ancora importanti divergenze”.
L’esperta ha spiegato cosa potrebbe verificarsi sulla piazza finanziaria di Londra: “Il mercato azionario britannico non potrà non considerare i suoi legami con le miniere del Cile e il peso dei suoi rapporti con l’agricoltura cinese”. Insomma, ogni mercato cercherà di favorire l’adozione di regole che non siano troppo penalizzanti per gli investimenti di riferimento. Una scelta conservativa in grado di minare alle fondamenta
gli stessi concetti alla base della finanza sostenibile.

Un aiuto nella ricerca dell’ordine potrebbe arrivare da un progetto patrocinato dalle Nazioni Unite. Il Principles for Responsible Investment, questo il nome dell’iniziativa, punta a diffondere una cultura basata sulla consapevolezza degli investimenti. E, nel caso delle trenta differenti tassonomie, ha già chiarito che una situazione così caleidoscopica non farebbe altro che aumentare i costi e complicare gli scambi di prodotti finanziari negoziati sui vari listini internazionali. Molto dipenderà dalle scelte che verranno prese per regolamentare la materia negli Stati Uniti.

La borsa di Wall Street sarà come sempre un punto di riferimento per tutte le società di investimento del pianeta e per le scelte delle autorità regolatorie. Dinamiche naturali in cui sarà difficile rintracciare univocità. Un risultato che potrebbe essere aiutato solo dalla conclusione di un dettagliato accordo internazionale.

Sempre che i vari Paesi non scelgano una differenziazione permanente per attirare i flussi generati dagli scambi di prodotti finanziari.

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