FINCANTIERI, O LA BORSA O LA VITA

Torno per la seconda volta in tre giorni sul «caso Fincantieri» e nei prossimi giorni lo farò ancora, perchè è il vero «caso» che riguarda la nostra città e la nostra regione. Non è un caso se Mario Giordano, che è un acutissimo osservatore dello strapotere dei sindacati (lo dovrei dire comunque, visto che è il mio direttore, ma acutissimo osservatore lo è sul serio e in modo serio), ha inserito il caso della quotazione in Borsa di Fincantieri nella lista delle assurdità italiane, al pari del caso Alitalia. Detto tutto.
Visto dalla Liguria, il caso - incredibile in sè - è ancora più incredibile. A partire da un dato incontrovertibile: Fincantieri, per la Liguria è come una miniera, è come un giacimento di petrolio, è come il Klondike per zio Paperone. E non dico così per dire, parlano i numeri: 3mila e duecento dipendenti diretti in Liguria; un indotto almeno equivalente; tre stabilimenti per navi da crociera, navi militari e megayacht a Sestri Ponente, Riva Trigoso e al Muggiano, la direzione navi militari e due società controllate con sedi a Genova; prestazioni d’opera o forniture per circa un miliardo di euro, la maggior parte delle quali in Liguria, commissionate complessivamente dall’azienda. In termini economici è quello che si chiama l’«effetto volano»: la prima impresa della città fa girare l’economia della città stessa e anche del resto della regione. E, meglio va Fincantieri, meglio va la regione.
Non ci vogliono nè Keynes, nè Friedman. Se lo spiego a mio figlio Federico, che fa la prima elementare e non ha ancora iniziato ad affrontare le tabelline, ci arriva anche lui. Quindi, sembrerebbe facile: la quotazione in Borsa è l’unico strumento a disposizione per consentire a Fincantieri di rimanere il «mostro» di competitività che è oggi e di combattere ad armi pari con gli altri soggetti che operano nel mondo della cantieristica, primo fra tutti il neonato colosso scaturito dall’acquisizione di Aker Yards, il competitor europeo di Fincantieri, da parte dei cantieri coreani Stx.
Insomma, ora dall’altra parte c’è Golia. E se è vero che l’ottimo gruppo di manager guidati da Giuseppe Bono, uno che è parte della storia degli ultimi anni di successi di Fincantieri, i quadri, gli operai e i tecnici dell’impresa cantieristica hanno spesso saputo tenere testa a Golia anche con la fionda, con l’intelligenza e la flessibilità di Davide, è anche vero che è sciocco regalare sempre e comunque a Golia la forza. Che è sciocco autolimitarsi da soli. Che è sciocco partire ad handicap per scelta.
Ed è a questo punto che entra in gioco la quotazione in Borsa. Proprio perchè la quotazione è l’integratore vitaminico che può regalare ulteriore linfa alla corteccia già ottima di Fincantieri.
Dovrebbero esserci già arrivati tutti. È un ragionamento talmente semplice e lineare che la quotazione si potrebbe già dare per fatta. Ma c’è ancora qualcuno, nella politica e nel sindacato, soprattutto a sinistra, che non l’ha capito.

Domani glielo spieghiamo. Perchè far male a Fincantieri è peggio che farlo ad Alitalia. Perchè, qui, c’è in ballo l’argenteria di famiglia, non un’azienda che macina perdite. E con l’argenteria di famiglia nessuno ha il diritto di scherzare.

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