Sceglie la sede storica della Borsa di Milano, Palazzo Mezzanotte, per dare lannuncio della sua uscita dal grande giro della finanza. Proprio il palazzo che, negli anni Ottanta, quando cerano ancora le grida, vide Carlo De Benedetti protagonista grandioso, dal vertice dellOlivetti, di operazioni anche assai spericolate, nel boom del mercato azionario che ha toccato allora alcuni record tuttora imbattuti.
«Lascio tutte le presidenze delle società che ho fondato», perché «a fine anno compio 75 anni», esordisce De Benedetti in una saletta stracolma di giornalisti italiani, corrispondenti stranieri, televisioni, tutti convocati allultimo momento: fino alle 12 nessuno sapeva ancora nulla. Lo giurano sia i consulenti per la comunicazione, sia il suo storico portavoce Beppe Pescetto, peraltro già dimissionario da qualche giorno, come ad anticipare la fine di unepoca. La decisione di De Benedetti sarebbe maturata da poco, giorni, massimo settimane. Tenuta poi segreta fino alle 17.45 di ieri. Ancorché, evidentemente, ponderata a lungo, perché altrimenti lIngegnere non avrebbe esitato, nel rispondere a una precisa domanda, a parlare della necessità di «introdurre un limite detà nello statuto delle società. Noi lo introdurremo». Si parla delle holding Cofide e Cir, dalla quale dipendono il gruppo Espresso e le attività industriali di Sorgenia (energia), Sogefi (componentistica auto) e altre minori tra cui il fondo quotato M&C. Di tutte, tramite Cofide appunto, De Benedetti (che ora è presidente) resta comunque il primo azionista (e non sono previste, lo ha detto, alcune variazioni negli assetti proprietari).
Voci di corridoio condiscono levento con lindiscrezione dei rapporti sempre più tesi con il figlio Rodolfo, erede indicato dellimpero finanziario costruito dal padre nel secolo scorso, e già da tempo numero uno operativo di tutte le holding. Voci che corrono da tempo per lavversione di Rodolfo verso il settore media a favore dei comparti industriali. Ma alla storica conferenza stampa di ieri lIngegnere si è presentato con la moglie Silvia Monti e tutti e tre i suoi figli: Rodolfo (accompagnato dalla consorte Emmanuelle de Villepin), Marco (ex capo di Tim, oggi al vertice del fondo Carlyle), ed Edoardo (mai vicino alle cose della finanza, medico cardiologo da anni a Ginevra). Come a sottolinerare lunità della famiglia.
In realtà il passo indietro dellIngegnere sancisce una nuova situazione che, di fatto, ricalca la scissione societaria andata a monte qualche mese fa per lopposizione del mercato. Per la Cir era previsto lo sdoppiamento: da una parte lindustria (Sorgenia, Sogefi e le altre attività), dallaltra lEspresso. E in questultima lIngegnere, a ben guardare, non molla: «Rimarrò nel cda della società, chiederò di essere nominato presidente onorario e rimarrò responsabile editoriale e della nomina dei direttori di testata». Poi, «dintesa con mio figlio Rodolfo verrà nominato il presidente dellEspresso con una personalità che io indicherò e che ricoprirà la funzione di rappresentante legale della società». Insomma, ha concluso, «anche se lascio la presidenza dellEspresso, continuerò ad occuparmi di editoria che è la mia passione e la mia missione». De Benedetti ha detto anche che resterà nel comitato di presidenza della Fieg. E a precisa domanda ha risposto: «Finché sarò vivo io lEspresso non vende».
De Benedetti che non affrontava una conferenza stampa «societaria» ufficiale dal 1996 per luscita dallOlivetti, è sereno, in ottima forma, di poche ma precise parole. Ponderate nel rispondere alle domande più insidiose su politica, giustizia, finanza: «Ci sono stati eventi che hanno penalizzato la mia carriera per ragioni politiche: la condanna per il Banco Ambrosiano anche se in seguito la Cassazione ha detto che è stato un errore processarmi; il caso Sme - un affare tutto politico - e la vicenda Mondadori».
La tessera numero uno del partito di Veltroni, invece, non esiste: «Non ho mai avuto tessere di nessun partito. Sono sempre stato repubblicano e quando il partito si è sciolto sono passato coerentemente al centrosinistra.
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