Fine del mondo Appuntamento al «Day after»

2012 di Roland Emmerich sarà sicuramente un gran bel film (quanto meno per i cultori del genere catastrofico). Peccato, però, si regga su una colossale balla la quale, grazie al presumibile successo di botteghino acquisterà ancor maggior credito. Quale sia la balla è presto detto: la Terra, e noi con essa, cesserà di essere esattamente il 20 dicembre del 2012, cioè fra poco più di mille giorni. Cascano le braccia a parlar di certe cose, ma poiché sono legioni a credere allo iettatorio vaticinio, tocca farlo. Responsabili dell’annunciata fine del mondo sarebbero i Maya, e già basterebbe a liquidare il tutto con una risata. Quel che è vero, però, è che i Maya tenevano scrupolosamente conto del trascorrere del tempo. La menata sui loro celebri calendari è nota a tutti e non mi pare sia il caso di tornarci su.
Bene, osservando uno di questi calendari, detto il «Codice di Dresda», un dilettante, un amateur, certo Herr Forstermann, impiegato al catasto, s’inventò su due piedi che l’ultimo scarabocchio presente nel codice rappresenta una massa d’acqua che fuoriuscendo dal Sole e dalla Luna sommerge il mondo, spegnendovi la luce. Non pago, stabilì inoltre che quello sgorbio raffigurante la finibusmundis indicava una data precisa: il 20 dicembre del 2012, per l’appunto. Lì per lì le elucubrazioni dell’impiegato al catasto lasciarono, giustamente, il tempo che trovarono. Fu in seguito, in pieno fiorire del movimento New Age (del quale, per rispetto della decenza, altro non aggiungo) che la panzana - la New Age si nutriva di panzane - fu ripresa, diffusa e data per «scientifica». E la gente cominciò ad abboccare, un po’ come accade per il global warming di origine antropica, per intenderci.
Ora, ragioniamo: perché mai i Maya, proprio loro, dovevano avere la chiave di lettura di quel mistero che si chiama futuro? Chi ci assicura che lo scarabocchio tracciato sul «Codice di Dresda» significhi quel che Herr Fostermann s’immaginava fosse? Chi ci garantisce che il calendario in questione non avesse un seguito andato perduto? D’accordo, rispondono quanti restano convintissimi che di qui a poco più di mille giorni ci ritroveremo tutti insieme nella Valle di Giosafatte, però è indubbio che il «Codice di Dresda» chiude un «baktun», uno dei secolari cicli del calendario Maya. Embé? Per quella gente là la fine di un «baktun» segnava caso mai l’inizio di un nuovo ciclo di prosperità, pace e serenità, mica di morte. Eppure, niente da fare: la profezia Maya seguita a far correre frissons lungo le schiene di chi ci vuol credere. E sono tanti.

Del perché ne dà una interpretazione largamente sottoscrivibile proprio Roland Emmerich: «Credo che oggi viviamo in un’epoca in cui la gente non crede molto nel futuro, e quindi si immagina scenari da fine del mondo». Non resta che dare a questi amabili gonzi, sia detto con simpatia, appuntamento per il 21 dicembre del 2012.

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