Alla fine il pretoriano si arrende e fa il martire: «Io epurato dal premier»

LA SCENEGGIATA Prima la lettera di dimissioni, poi lo stop, infine l’addio: ha stufato pure i finiani

RomaL’epilogo della «sceneggiata napoletana», per usare un termine coniato dal finiano Roberto Menia in polemica col finiano Italo Bocchino, è la rinuncia definitiva di quest’ultimo: «dimissioni irrevocabili» da vicepresidente «vicario» del gruppo Pdl alla Camera, restando vicepresidente «semplice» assieme agli altri dieci. Ma il grande sconfitto non ci sta ad abbassare i toni e accusa: «Berlusconi mi ha epurato». Così, va in scena il Bocchino versione martire, vittima del «sultano», del «monarca assoluto»: «Me l’ha giurata, Berlusconi. Non essendo riuscito a impedirmi di andare in televisione è andato su tutte le furie e mi ha gridato al telefono “Ti infilzo”. Altro che partito dell’amore...». Il canto del cigno.
Eppure la mattinata di ieri s’è aperta con il rischio di una vera e propria baruffa all’interno dell’assemblea del gruppo parlamentare del Pdl, convocata per discutere dell’affaire Bocchino. Il numero due pidiellino a Montecitorio, infatti, aveva già scritto una lettera di dimissioni cui però aveva fatto seguire una seconda missiva per smentire la prima e per cercare di abbattere pure il capogruppo Cicchitto. Insomma, guerra aperta. Il pericolo, però, è stato scongiurato in extremis: assemblea saltata e, questa volta, abdicazione definitiva. Ma se molti finiani già parlavano di clima rasserenato grazie al sacrificio di Bocchino, lo stesso dava nuovamente fuoco alle polveri, furente nelle vesti di capro espiatorio. Così, in Transatlantico, s’è sfogato con alcuni cronisti lamentando di essere l’unica vittima del berlusconismo: «Una vera e propria epurazione la mia, figlia dell’ossessione di Berlusconi che per un anno ha chiesto a Cicchitto di limitare la mia presenza nel gruppo perché non in linea con lui». Che farà adesso? «Quello che ho sempre fatto: contrastare il centralismo carismatico che governa nel Pdl. Un partito, questo, che con me ha seguito la linea del colpirne uno per educarne cento». Parole come pietre, rievocative degli anni di piombo, per attaccare il leader reo di «schiacciare il dissenso». Altro che clima rasserenato. L’onorevole Osvaldo Napoli, infatti, si chiede: «Come può pensare di rasserenare il clima all’interno del gruppo con le dichiarazioni incendiarie o con citazioni addirittura dai proclami delle Brigate rosse?».
Ma Bocchino è un fiume in piena: «Ha commesso un grave errore il premier. Noi veniamo da una lunga storia politica, non siamo stati chiamati da un’azienda - attacca a testa bassa come un leone ferito - e continueremo a esprimere le nostre opinioni e dire che il partito, così com’è, non ci piace». Poi, il vero e proprio affondo con la ricostruzione della telefonata del Cavaliere, ricevuta lo scorso 20 aprile, per dissuaderlo a partecipare a una puntata di Ballarò: «Mi ha intimato “Tu in trasmissione non devi andare, ma ti sembra il caso di dare l’immagine di un partito spaccato con questa storia della minoranza?”. E io “Presidente, rappresento la minoranza del Pdl e in tv vado a esporre le mie idee e continuerò a farlo. Se cercherà di impedirlo sarà un problema suo”. Poi gli ho spiegato che non esiste in nessun partito democratico del mondo che il leader dica alla minoranza di non andare in televisione a spiegare le proprie posizioni. Era furente, gridava: “Ma quali posizioni? Qua c’è solo una posizione, io ti infilzo. Farai i conti con me”».
Sebbene subito dopo Bocchino azioni il refrain del «saremo fedeli al governo e se qualcuno pensa che faremo la guerriglia si sbaglia di grosso», la frase successiva diventa minacciosa: «Non crediamo che la frattura sia sanabile. Vedremo se è possibile costruire un partito in cui sia ammesso il dissenso, dove siano presenti maggioranza e minoranza oppure se Berlusconi cercherà il pretesto per sfasciare tutto». Solo, abbandonato anche da molti finiani: «Se si riferisce alle critiche di Menia le dico subito che minimizzo: sono legate a questione personali che non hanno nulla a che vedere con la politica. Non solo: almeno dieci parlamentari ex azzurri mi hanno detto che la pensano come me.

Ma se è difficile uscire allo scoperto per gli ex An figuriamoci per gli ex Forza Italia...». Su tutta la questione scuote la testa Cicchitto: «Oramai qui non c’entra affatto la democrazia interna e la libertà del dibattito. Stiamo dando uno spettacolo desolante».

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