Massimiliano Scafi
da Roma
Il nome nel simbolo, la faccia sui manifesti, gli occhi puntati sui duemila delegati che riempiono la Fiera di Roma. Gianfranco Fini si prepara alla partita decisiva. «Ci giochiamo tutto, io per primo. La nostra sarà una campagna elettorale d’attacco, a testa alta. E l’uomo da battere si chiama Romano Prodi». L’avversario, dunque, sta dall’altra parte ma An, avverte, non vuole fare la ruota di scorta: «Si vince solo con destra. La Cdl può prevalere se sarà in grado di determinare una nuova speranza negli italiani, e ciò significa marcare la differenza sui contenuti». Insomma, meno risse e più programmi. «Bisogna avere il coraggio di mettersi in discussione. Rischiamo, ma facciamo capire di avere un progetto per il Paese».
Stretto tra gli obblighi di coalizione e la necessità di visibilità, il vicepremier cerca di far accendere i riflettori su An e di differenziarsi da Forza Italia. Ognuno per sé, questa è la regola del proporzionale nella corsa a Palazzo Chigi. «Siamo alla vigilia di una campagna elettorale - scrive nella prefazione al libro di proposte che la conferenza deve esaminare - in cui non abbiamo nulla da temere nel confronto. È giusto ricordare alla gente quello che il centrodestra ha realizzato, anche se ha governato nel periodo più difficile degli ultimi trent’anni. Però sappiamo bene che c’è ancora tanto da fare. I problemi dell’Italia sono antichi e non possono essere risolti dal centrosinistra che non ha più prospettive».
Fini vuole solleticare l’orgoglio del partito: «Non ho mai detto che An sia un passo dietro a me, anzi voglio che sia sempre un passo avanti». E i colonnelli, in questo momento, sono tutti con lui. Persino Francesco Storace, che non si preoccupa dell’offensiva mediatica del Cavaliere: «La campagna elettorale noi siamo abituati a farla porta a porta». Persino Gianni Alemanno: «Lo schema a tre punte è una grande prova di primarie». Tutti insomma con il capo, come sintetizza Ignazio La Russa: «Siamo fedeli alla Cdl, però Fini pensi a fare gol». «Gianfranco - aggiunge Altero Matteoli - ha i numeri giusti per chiedere agli elettori di diventare il capo del governo. Lui è in grado di discutere con gli avversari politici argomentando, senza insultare. Noi pensiamo di poter vincere in base alle idee che proponiamo, per questo non abbiamo polemizzato sulla par condicio. C’è una legge, rispettiamola».
Duemila delegati, quattromila ospiti, tre giorni di conclave, cinque commissioni di programma. «Mentre il centrosinistra si dibatte in discussioni nominalistiche - dice ancora La Russa - noi puntiamo tutto sui contenuti». «L’Italia è un Paese troppo complesso per lasciarlo a quel caravanserraglio della sinistra», sostiene Mario Landolfi. E Maurizio Gasparri attacca le candidature dell’Unione: «La sinistra è passata da Rosa Luxembourg a Vladimir Luxuria. Quanto a Gerardo D’Ambrosio, che fosse un po’ destinato a presentarsi nelle liste Ds non ci ha sorpreso, anche perchè lo abbiamo imparato a nostre spese negli anni ’70. Prima si è esercitato su di noi, ora mette la firma alla sua carriera di magistrato».
Tocca a Gasparri illustrare «le proposte della destra» sicurezza, tasse, famiglia, made in Italy, alleanza con i giovani, le donne, gli anziani. Idee, spiega, per battere un’opposizione «che ha come unico collante l’odio nei confronti di Berlusconi, ma che non è d’accordo su molti temi dalle contraddizioni sulle unioni gay a quella sulle opere pubbliche, e che porta avanti una denigrazione sistematica del centrodestra».
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