Caro Granzotto, per marcare il suo distinguo da Berlusconi e dallattuale maggioranza di governo lultima trovata di Gianfranco Fini è stata quella di dichiarare che non si sarebbe appellato al Lodo Alfano, che lo concerne in quanto terza carica istituzionale, per evitarsi i guai di una causa per diffamazione. Scelta clamorosamente «politica» e in chiave antiberlusconiana perché la causa è di lieve entità e perché sul Lodo Alfano pende il giudizio di costituzionalità e quindi è prematuro tirarlo in ballo. Considerando che senza lo sdoganamento voluto da Berlusconi Fini sarebbe il capo di un partito fuori dallarco costituzionale e in tale posizione la presidenza della Camera lavrebbe vista col binocolo, non le pare che il modo di dire «sputare nel piatto dove si mangia» potrebbe stargli a pennello?
Non so, caro Monti, bisognerebbe prima intendersi. Di quale piatto stiamo parlando? Perché Gianfranco Fini procede al proprio restyling su tre indirizzi diversi: uno culturale, uno politico e uno che potremo definire fisiognomico. Ciò che comporta abiure e diserzioni, conversioni e adozioni mica da ridere. Oltre a una certa quantità di piatti in tavola. Del suo tardivo salto del canguro sè detto tutto. Abbiamo visto di peggio anche se il balzo improvviso dall«Eia, eia, alalà!» al fascismo come male assoluto resta pur sempre un atto intellettualmente atletico di notevole portata. E tutto sè detto sulle manfrine ideologiche, su quellutileidiotismo, sia detto senza offesa, che tanta acqua portò al mulino comunista (ma non abbastanza per consentirgli lagognatissimo sorpasso) per accreditarsi presso i «sinceri democratici» e guadagnarsi le simpatie della società detta civile. Per unoperazione del genere ci vuole stomaco e Fini, glie lo si deve riconoscere, ce lha. Il terzo aspetto della conversione finiana, quello fisiognomico, apre poi ampi e inesplorati scenari che meglio aiutano a comprendere lanimo del presidente della Camera. Assunta quella carica, forse indottovi dalla convinzione che sia labito a fare il monaco o forse spintovi da una natura fondamentalmente trombonica, Fini si è letteralmente metamorfizzato. Ritenendo che lalto valore morale suo e della sua funzione, ma sopra tutto suo, abbia bisogno desser sostenuto da una costante gravità di comportamento, si è imposto un cliché che nel sembiante, nel gesto e nella parola enfatizzi, in unorgia di sussiego e di prosopopea, la solennità se non proprio la sacralità della carica che ricopre. Ha preso a parlare come un oracolo, ha adottato landatura da Gran sacerdote (rigido come un baccalà); sorveglia attentamente il gesto perché risulti o provi a risultare ieratico; porta la testa al modo dei busti del Pincio e tiene costantemente lo sguardo distante, come perduto negli spazi siderali del suo pensiero.
Paolo Granzotto