Da Fini alle toghe rosse così don Gianni aveva anticipato tutto

Firmando un intervento sul numero zero del settimanale diretto da Sandro Bondi, Il Domenicale, Silvio Berlusconi ha scritto: «In questi giorni mi sono spesso domandato cosa avrebbe pensato don Gianni di certi “passaggi” politici sui quali la sua riflessione era sempre attenta e acuta». Ad un anno dalla scomparsa di don , il suo pensiero si dimostra più che mai attuale: il dibattito interno al centrodestra, il rapporto tra giustizia e politica e il futuro della Chiesa ne rivelano la lucida lungimiranza.
Di fronte ad un Popolo della libertà oggi incerto e confuso, la parola di don Gianni si conferma capace di andare al cuore dei problemi. A proposito di quell’anticomunismo che oggi appare così antiquato, ma che è sopravvissuto fino a ieri in città importanti come Mantova, il 5 settembre 2006 don Gianni scriveva: «Berlusconi è il solo che parli di anticomunismo, di regime soffice, che dice cioè ciò che gli italiani vivono sulla loro pelle. \Casini e Fini non hanno avuto la sua stessa lucidità». \E rispetto al difficile rapporto di convivenza tra Berlusconi e Fini, cosa diceva nel 2007 don Gianni? «Se era facile per il popolo di An accettare Berlusconi come leader del Polo e della Casa delle libertà, era impossibile per il popolo di Berlusconi accettare Fini come leader di un partito unico».
«Fini - annotava don Gianni - sperava quel che Berlusconi non poteva concedere. E da questo è dipesa la scelta del leader di Forza Italia di accettare il proporzionale negoziato col Partito democratico e di far nascere il nuovo partito del Popolo della libertà. La scelta di Silvio Berlusconi ha sorpreso Gianfranco Fini». \
Baget Bozzo a proposito del governo Prodi e dell’inaspettata svolta del predellino pronunciava parole così chiare da sturare le orecchie anche al politico più sordo: «All’indomani delle elezioni del 2006 le larghe intese furono rifiutate, la maggioranza pensò di aver vinto con il mandato di annullare tutta l’opera di Berlusconi». \
Del difficile, tormentato rapporto tra magistratura e politica, Baget Bozzo ha parlato quando non c’era un presidente come Giorgio Napolitano a riprendere pubblicamente e ripetutamente l’associazione magistrati. Il 18 gennaio 2002 dalle colonne di Panorama scriveva: «In nessun Paese la contrapposizione tra i giudici e le istituzioni democratiche ha raggiunto il livello che ha raggiunto in Italia. L’inaugurazione dell’anno giudiziario ha assunto la forma di una protesta sindacale, ma era fondata sulla difesa di un privilegio istituzionale. La protesta era contro il ministro Castelli, ma non per la legittimità dei suoi atti, bensì per il fatto che erano intervenuti». Basterebbe sostituire il nome del Guardasigilli Castelli con quello di Alfano perché il ragionamento di Baget non necessiti di ulteriori aggiornamenti. Il politologo proseguiva affermando che «il principio della manifestazione era che la giustizia non è una funzione dello Stato, ma una pertinenza delle corporazioni dei giudici». \ Ma se la gestione del corpo giudiziario non dipende dalla democrazia, ma da un apparato dello Stato, se un corpo dello Stato si costituisce autonomamente quale garante della legittimità delle istituzioni, è in atto un golpe, un attentato alla democrazia? Per don Gianni «è improprio, ma non del tutto, parlare di golpe». \
Don Baget Bozzo è stato anche un raffinato teologo e un profondo conoscitore della Chiesa. La capacità del sacerdote genovese di vivere da dentro i fatti interni al Vaticano gli fece invocare, con due anni di anticipo rispetto all’elezione di Giovanni Paolo II, un Papa che fosse straniero e che viaggiasse molto. In modo non molto dissimile, il 5 novembre 1989 la Repubblica pubblicava un suo articolo dal titolo «Andreotti ha scoperto chi comanda in Vaticano»: sedici anni prima che salga al soglio di Pietro, è il cardinale Ratzinger «l’uomo più potente oggi in Vaticano». E questo perché «se l’immagine della Santa Sede è alla sua età slava, il potere curiale è alla sua ora tedesca». \
Il valore dell’uomo che diverrà Benedetto XVI è riconosciuto da don Gianni prima che da chiunque altro. Scriveva nel 1992: «Nella Chiesa cattolica un fuoco cova sotto la cenere e basterebbe leggere il mensile Trenta giorni, vicino a Comunione e Liberazione, per ascoltare il crepitio delle fiamme. Ma anche il Catechismo della Chiesa cattolica è un segno della tensione. L’opera non è un catechismo, ma un manuale di teologia di ottima qualità: migliore di quelli in corso nei seminari.

\ Quest’opera è il maggior segno della presenza del cardinale Ratzinger alla Congregazione per la dottrina della fede». \ Arrivederci, don Gianni!
*Autore di «Don . Vita, morte e profezie di un uomo-contro» (Marsilio)

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