Fini «beffa» il Pdl, salva l’amico Biasotti e incanta i compagni

Il discorso, solenne e didascalico ma certo non destinato a passare alla storia dell’arte oratoria per incisività dei contenuti, è finito. Gli applausi anche. Gianfranco Fini scende nell’emiciclo dell’assemblea regionale per le strette di mano e le pacche sulle spalle un po’ meno formali. E chi lo prende addirittura sottobraccio, con un sorriso paternalistico sul viso, è Raimondo Ricci, il presidente nazionale dell’Anpi, il capo dei capi dell’antifascismo istituzionalizzato. Il presidente del consiglio regionale Mino Ronzitti, uno per cui storicamente la sinistra è un po’ troppo di destra, è emozionatissimo. Non c’è che dire, ai compagni l’uomo piace.
Anche perché è il primo presidente della Camera che dimentica accuratamente di essere anche un leader di partito. E che per evitare di cadere in tentazione beffa il coordinamento metropolitano del suo Pdl che lo aveva invitato a un incontro privato con i dirigenti e gli imprenditori locali - a incontro ufficiale concluso - per dare un segnale forte alla campagna elettorale di Sandro Biasotti. Lui, Fini, declina e non partecipa a un momento peraltro già annunciato dai vertici liguri. Un’eccezione per la verità il presidente la fa, ma non per il partito. Concede, tra una visita alla mostra e una stretta di mano con cariche istituzionali varie, solo una pausa improvvisata al Galata con i rappresentanti del centrodestra e qualche singolo imprenditore (il presidente degli industriali Giovanni Calvini, Gianni Scerni e Davide Viziano). E se lo ha fatto, come da lui stesso ribadito, è stato solo per l’amicizia personale che lo lega a Biasotti. «Lo faccio solo qui oggi e non lo farò nelle altre Regioni, non perché non stimi gli altri candidati ma come tributo a una sincera amicizia - ha voluto sottolineare Fini - Il Presidente della Camera non può e non deve fare comizi, ma non rinuncio per questo a esprimere le mie opinioni e vi dico che se fossi un ligure voterei sicuramente per Biasotti». Sospiro di sollievo di chi temeva potesse andare anche peggio. Ed esultanza di Gian Nicola Amoretti, vice coordinatore provinciale, che mette in risalto come «la presenza e le parole di Fini rafforzino la candidatura di Sandro Biasotti, di cui è stato uno dei primi sostenitori».
Per la verità il Pdl non è che abbia molte altre frasi da mettere in cornice, visto che l’unico altro riferimento positivo personale è ad Alfredo Biondi «esempio importante di chi fa politica anteponendo l’interesse generale a quelli personali». E soprattutto spirito critico sempre pronto al richiamo salace verso la dirigenza del partito. Insomma, è vero che lo stesso Fini ha ammesso che in campagna elettorale c’è la necessità «di non andare in ordine sparso, occorre fare squadra», pur se nel partito esistono un confronto interno e differenze di vedute. Ma altrettanto vero è che subito dopo non ha risparmiato la stoccata: «Il Pdl deve guardare al di là della punta del proprio naso, dei problemi contingenti, che pure vanno affrontati».
D’altra parte fin dai giorni scorsi il presidente della Camera aveva ripetuto ai vertici locali del partito che non avrebbe partecipato a iniziative politiche, ma anzi aveva espressamente richiesto la volontà di affrontare il tema dell’immigrazione a lui tanto caro. Ecco così che la visita alla mostra «La Merica» allestita al Galata, è subito apparsa la soluzione ideale. E Fini non si è lasciato sfuggire l’occasione, lanciandosi nel parallelismo tra gli immigrati che arrivano oggi in Italia e gli emigranti che nei secoli scorsi lasciavano l’Italia per il viaggio della speranza. «È una mostra bellissima - è stato il commento del presidente - mi auguro che la possano vedere tanti giovani per capire che molti dei loro nonni, bisnonni o trisavoli erano cento anni fa esattamente quello che oggi sono gli immigrati che arrivano qui in Italia. Ci sono dei volti di questi liguri, calabresi, veneti e campani che partivano da Genova che sembrano i volti dei quei poveri disgraziati che cercano di arrivare in Italia attraverso il Canale di Sicilia. Questo fa riflettere».
Interventi che magari non entusiasmeranno l’alleato leghista, che almeno evitano di affrontare temi delicati anche in vista della campagna elettorale ligure. Fini insomma non rinuncia alle sue posizioni, ma evita di cercare lo scontro. Tanto che anche in mattinata, durante l’intervento in Regione, aveva addirittura corretto a braccio il discorso che gli era stato preparato.

Laddove il federalismo e la spinta verso la «regionalizzazione» erano stati individuati nel discorso scritto come «risposta a movimenti politici, spesso organizzati in partiti, più o meno radicati», Fini aveva in diretta corretto su un processo positivo che si è fatto strada «anche grazie a movimenti politici, spesso organizzati in partiti». Sfumature, ma certo non irrilevanti. Che se hanno evitato di stuzzicare la Lega, non gli hanno sicuramente fatto venir meno gli applausi più convinti. Quelli dei compagni.

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