RomaNon cè trippa per gatti. È un povero illuso chi immagina, sogna, esecutivi tecnici o istituzionali. Per buona pace, tanto per cominciare, di Francesco Rutelli, che insiste sulla strada di un futuribile «governo del presidente». Ed è fuori strada, sia chiaro, chi delinea scenari ed equilibri politici diversi da quelli emersi dal responso elettorale dello scorso anno. Insomma, Gianfranco Fini non ci sta a passare per chi ordisce la congiura ai danni del Cavaliere, qualunque sia il ruolo da svolgere. E non intende farsi immischiare nei giochini di Palazzo, convinto comè che linquilino di Palazzo Chigi, supportato dal consenso popolare, guidi una maggioranza che non può venire stravolta da strane mosse pseudo-golpiste.
Così, a ridosso della delicata decisione della Consulta sulla costituzionalità del Lodo Alfano - nel giorno in cui Umberto Bossi ribadisce fedeltà e pieno appoggio al premier - il presidente della Camera prende la parola, forse un po a sorpresa, per sgombrare il campo da ogni dietrologia. E da Napoli, a margine di una lectio magistralis su rappresentanza e governo nellera della globalizzazione, rassicura il centrodestra, garantendo di non volersi fare abbindolare dal canto delle sirene centriste, che intanto se la ridono per la pesante sentenza sul Lodo Mondadori pronunciata dal Tribunale di Milano. «Oggi, nel nostro sistema - afferma Fini durante lincontro con gli studenti delluniversità Federico II - nessuno dice che la maggioranza esce dallAula del Parlamento, ma tutti concordano che la maggioranza è quella che esce dalle urne». Punto. «Non a caso - prosegue - si vota la coalizione e gli italiani, sulla scheda delle ultime elezioni Politiche, hanno trovato il nome del candidato premier». Nella fattispecie, Silvio Berlusconi.
È un messaggio chiaro quello che lex leader di An lancia, a suocera perché nuora intenda, per dire a chiare lettere: non contate su di me, co-fondatore del Pdl e convinto bipolarista, per progetti che facciano rima con ribaltoni. Ipotesi che «non esistono nel suo Dna morale e politico», rintuzza non a caso Andrea Ronchi. Che da ministro, e uomo vicino alla terza carica dello Stato, dà la sua chiave di lettura: «Un conto è la richiesta, sacrosanta, di aprire un vero dibattito interno nel Pdl su cittadinanza o temi etici, un altro è pensare che Fini, da uomo di destra, possa farsi coinvolgere in inciuci centristi di qualsiasi tipo».
Nel frattempo, mentre il Popolo della libertà va avanti con la proposta di scendere in piazza, per rimarcare la «politica del fare» che «nessun disegno eversivo potrà sconfiggere», il presidente del Consiglio incassa il chiaro sostegno del Carroccio. E nonostante non sia convinto che alla fine si arrivi davvero alle dimissioni del Cavaliere e a successive elezioni anticipate («penso che non andremo al voto»), il Senatùr, in ogni caso, non si tirerebbe indietro: «Credo che andremo avanti a fare le riforme, comunque, noi siamo sempre pronti». Insomma, se serve, la Lega ci sarà.
Bossi, tra le altre cose, si dice convinto che gli «attacchi concentrici» contro il capo del governo abbiano una precisa matrice: «È un problema creato dalla mafia», perché «noi abbiamo fatto leggi pesantissime contro» e «quindi cera il rischio che se la pigliassero con Berlusconi». Daltronde, aggiunge, «le prostitute le manovra la mafia». E la magistratura? «Non so se centra, non penso». Detto questo, rimarca il ministro per le Riforme in chiave elettorale, il Pdl «ha la nostra alleanza, la nostra forza, una massa di voti enorme che trascina la Lega: insomma, la vittoria...».
Intervistato allInfedele, alla domanda se il Carroccio sia pronto a correre da solo in Veneto, il segretario federale risponde poi in questo modo: «No, perché ci vuol far diventare così forti? Noi abbiamo una percentuale altissima e riusciremmo comunque a vincere ovunque». Nessuna preferenza, in questambito, tra la regione guidata attualmente da Giancarlo Galan, Lombardia e Piemonte: «Per la Lega sono tutte e tre importanti, perché il nostro progetto è la Padania.
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