Roma - Il "gestaccio" del ministro delle Riforme, Umberto Bossi, contro l’inno nazionale e il duro attacco agli insegnanti del Sud obbligano la maggioranza a ridimensionare l'uscita del Senatur e a contenere le polemiche. Mentre il centrosinistra si dice pronto a presentare la sfiducia al ministro del Carroccio, il presidente della Camera invita Bossi a "rispettare le istituzioni": "L’unità nazionale, i suoi simboli e il rispetto che a essi è dovuto sono condizioni indispensabili per qualsiasi politica di autentica riforma". Ma non basta. Tant'è che lo stesso Boss, presente in Transatlantico, zittisce il presidente Fini: "Poteva non intervenire, era meglio".
L'affondo di Veltroni Il leader del Pd, Walter Veltroni, chiede al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di prendere le distanze in modo chiaro: "Mi aspetto una chiarissima, netta e non scherzosa presa di distanze da parte del presidente del Consiglio". E poi si rivolge ai presidenti delle Camere: "Mi aspetto che i presidenti Fini e Schifani, oggi, aprano le sedute di Camera e Senato con parole di condanna netta sul fatto che un simbolo di unità nazionale sia stato fatto oggetto di un gesto simile".
Idv e Pd chiedono le dimissioni L’Italia dei Valori sta valutando la possibilità di una mozione di sfiducia. Secondo il presidente dei senatori dell’Idv, Felice Belisario, il leader del Carroccio "deve dimettersi, non può fare il ministro chi insulta prima la bandiera e poi l’inno". Bossi, prosegue Belisario, è "inadeguato" e "deve andare a casa"; per questo "stiamo pensando a tutti gli strumenti parlamentari e valutiamo tutte le opportunità, anche la mozione di sfiducia". Secondo Antonio Di Pietro, in realtà l’obiettivo del Senatur è di "cancellare dall’informazione il suo appoggio alle leggi ad personam per Silvio Berlusconi". La Lega, prosegue Di Pietro, "deve alzare i toni per evitare che il suo elettorato capisca che il federalismo è una pistola scarica e che le promesse di una maggiore sicurezza sono state sacrificate alla sicurezza di non finire in carcere di Berlusconi". Sulla stessa linea anche Furio Colombo che ha chiesto "formalmente le dimissioni di Bossi da ministro".
La replica di Bossi "A me l’Inno di Mameli non è mai piaciuto, fin dai tempi della scuola, preferisco la canzone del Piave", ha replicato il ministro Bossi intonando: "Il Piave mormorava calmo e placido...". "Quella è una canzone di popolo, è più vicina alla Marsigliese", ha continuato Bossi accusando i media di "saltar su una cosa così, detta davanti ad una platea come quella veneta che è calda, nella concitazione del momento". "Certamente e me l’inno di Mameli non piace - ha poi spiegato il leader leghista - il poeta usò questa frase, 'schiava di Roma', che non ho mai sopportato. Il problema è sul contenuto, non sull’inno in quanto inno d’Italia. Proprio non mi piacciono le parole dell’inno e l’ho sempre detto". "Quella parola, 'schiava' - ha aggiunto Bossi - non la sopporto. Noi siamo per abolirla la schiavitù in ogni sua accezione. E così ho anche detto che il nord, la Lombardia, il Veneto mica possono essere schiavi di qualcuno...E allora perchè non usare come inno quella canzone del Piave che mi ha sempre commosso? Quella è popolare, trascinante, somiglia, come intonazione e come senso patriottico, alla Marsigliese".
L'intervento di Fini in Aula "Nessuno, men che meno un ministro della Repubblica, deve pronunciare parole che offendono un sentimento nazionale che sta nell’Inno di Mameli ed in quello che significa, al di la delle parole che lo compongono". Nell’Aula della Camera il presidente Gianfranco Fini, cerca di ridimensionare le uscite del Senatur avvertendo: "L’inno è elemento distintivo dello Stato al pari della bandiera: è un elemento simbolico e come tale esso va rispettato". Il presidente di Montecitorio ha spiegato che "particolarmente quando si ricopre una carica di governo e si giura fedeltà alla Costituzione, quando si agisce non nel nome di una parte ma del governo della Repubblica, sempre e comunque si deve avvertire un dovere supplementare di rispetto. Nessuno, e men che meno un ministro, deve pronunciare parole che possano offendere il sentimento nazionale, che è anche nell’Inno nazionale, per quello che significa al di là delle parole e delle strofe della fine del secolo scorso. Quell’inno - ha puntualizzato il presidente della Camera - rappresenta per il popolo italiano, al pari della bandiera, l’elemento distintivo dell’ unità nazionale". "Non avrei nè titoli nè capacità per insegnare alcunchè ad alcuno, e men che meno per esprimere giudizi. Mi auguro - ha rilevato il titolare di Montecitorio - che l’Aula sia concorde quando dico che sarà un giorno positivo per la qualità della politica italiana, e quindi per la maturità della società italiana, quello in cui chiunque è chiamato ad avere una responsabilità avrà ben chiaro che nel momento in cui parla in ragione di un mandato elettorale ricevuto ha il dovere di essere sempre consapevole che le parole possono essere più importanti di quanto possono apparire e che anche gli atteggiamenti possono essere oggetto di valutazioni che non attengono unicamente alla buona educazione". "Non è la prima volta che, anche fuori di qui, per la passione politica ci si scontri, anche in modo acceso, in ordine a parole o atteggiamenti di questo o quell’esponente politico, in questa o quella manifestazione comiziale. Chi ha certa esperienza sa che è accaduto anche in questa Aula. Il mio auspicio - ha concluso Fini - è che sempre e comunque tutti avvertano il dovere di atteggiamenti e parole rispettosi non solo del bon ton istituzionale ma anche del mandato popolare ed elettorale".
Bossi zittisce Fini "Fini poteva non intervenire, che era meglio". E' la secca risposta di Umberto Bossi ai cronisti che in Transatlantico gli chiedono un commento sul duro intervento in Aula del presidente della Camera, che ha stigmatizzato le frasi e i gesti del leader della Lega sull’inno di Mameli. Bossi liquida come "strumentalizzazioni" le polemiche seguite ai fatti di ieri, e torna a criticare il testo dell’Inno: "C’è anche scritto che i bimbi d’Italia si chiamano balilla...".
Schifani al Senato Anche a Palazzo Madama il presidente Renato Schifani si unisce all'appello lanciato da Fini affinché la politica "abbassi i toni" e il leader del Carroccio rispetti lo Stato ribadendo che "i simboli dell’unità e della patria sono sacri, riassumono la nostra storia e sono parte costitutiva della nostra identità nazionale". "Sono certo comunque - ha aggiunto il presidente di Palazzo Madama - che quanto accaduto nella giornata di ieri sia frutto di un clima particolare che spesso si realizza nei convegni di partito. A mia memoria fatti come quelli di ieri non si sono mai verificati in ambito parlamentare". Ma Schifani fa anche notare come "al di là dello spiacevole episodio" c’è stata nel convegno di ieri della lega "una dichiarazione politica di forte importanza" che dimostra "la volontà di un partito autore e protagonista in anni non sospetti del tentativo di un percorso federale e quindi di una modernizzazione del Paese di un’apertura al dialogo con l’opposizione, anzi di una richiesta di confronto costruttivo. Quella richiesta - precisa Schifani - che questa presidenza ha auspicato già nel momento del suo insediamento".
Cicchitto: "Alleanza confermata" "La Lega queste cose le ha sempre dette e pronunciate. Sia per quello che riguarda l’inno nazionale, sia sulla posizione nei confronti di Roma noi siamo in dissenso". Questa è la premessa del capogruppo del Pdl, Fabrizio Chicchitto nel suo intervento in Aula a commento delle parole di Bossi. Poi Cicchitto argomenta: "Noi però respingiamo questo strumentalismo. Il contributo che la Lega ha dato alla seconda Repubblica è stato di innovazione e di serietà". Per questo motivo, osserva Cicchitto, "non ci facciamo prendere da una strumentalizzazione di bassa lega, non cadiamo in questa trappola. Confermiamo il nostro rapporto di lealtà e di alleanza con la Lega e le altre formazioni che costituiscono il centrodestra". Dunque per il capogruppo del Pdl il gesto del leader leghista nei confronti dell’inno di Mameli "è un episodio parlamentare di non grandissimo rilievo". E conclude: "Non c’è ragione di fare un processo politico, lo respingiamo al mittente".
Telefonata di Berlusconi a Bossi: alleanza solida Una breve chiacchierata al telefono, in un clima che viene descritto come "assolutamente tranquillo". Silvio Berlusconi e Umberto Bossi si sono sentiti poco fa al telefono, dopo due giorni di polemiche scatenate dalle frasi e il gesto del leader della Lega sull’inno di Mameli. La telefonata è avvenuta mentre nello studio di Bossi alla Camera erano presenti anche Giulio Tremonti e Paolo Bonaiuti, e viene raccontata come la solita conversazione cordiale tra i due leader politici, il cui rapporto non è stato scalfito - assicurano dal Pdl - dalle polemiche di questi giorni.
Le reazioni in Parlamento Il centrista Lorenzo Cesa commenta: "Ora il dialogo è più difficile, Bossi dovrebbe scusarsi non solo con gli italiani ma anche con gli insegnanti perchè è una cosa inaccettabile quella che ha detto". Detto questo, però, secondo Cesa la mozione di sfiducia è "inutile perchè tanto in Parlamento non ci sono i numeri considerando la loro maggioranza parlamentare. E poi, non esasperiamo la situazione". Per la maggioranza Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture, commenta: "Ci sono due Bossi: Bossi a Roma, all’interno del governo e collaborativo, e poi Bossi quando è in Padania. Per lui la campagna elettorale non finisce mai, questo è il problema". Ma il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, invita a non enfatizzare: "Se io riconosco in tante persone lo spirito democratico, lo riconosco sicuramente in Bossi.
Credo che il linguaggio vada capito. Bossi ha un suo linguaggio particolare in occasione delle sue assemblee ma non ho mai visto in contrasto con le linee concordate programmatiche a livello governativo. Non enfatizzerei queste posizioni".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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