An, Fini convince i «colonnelli» e disegna il partito di domani

Oggi l’assemblea nazionale che apre la campagna d’autunno contro il governo. I distinguo di Storace, Servello garante

da Roma

S’apre oggi all’Ergife l’Assemblea nazionale di An, e pare che tutti gli auspici siano a favore dell’unità e dell’unanimismo, della leadership incontrastata di Gianfranco Fini (altro che abbandono del partito!), della veritiera dissoluzione delle correnti, dell’approdo al Ppe che illumina l’orizzonte, delle magnifiche sorti e progressive per il centrodestra or che il governo dell’Unione ha esaurito l’intera sua spinta propulsiva nella finanziaria di lacrime e sangue per tutti. C’è da approvare il famoso «documento di luglio», e non c’è dubbio che domani il manifesto col quale Fini vuol lanciare An nel vero dopo-Fiuggi, nel futuro più o meno prossimo, riceverà il voto entusiasta e massiccio dei 500 componenti il parlamentino interno. Così come non sussiste alea alcuna che sarà approvato compattamente pure l’ordine del giorno che accompagna il documento e apre la campagna d’autunno, cioè il programma di lotta contro il governo, cavalcando la stangata e il lassismo sugli aspetti deteriori dell’immigrazione. Però... Però resta ancora da convincere Francesco Storace, che non sembra così entusiasta come gli altri.
La storia del «documento di luglio» è nota, contiene i princìpi programmatici per il rilancio del centrodestra, la conquista di una posizione centrale per An, le linee per una nuova forma partito, l’approdo europeo al Ppe e la formazione del partito unitario dei moderati. A questa sessione dell’Assemblea nazionale che deve farne il nuovo manifesto della destra, arriva dopo un forum «delle idee» con giornalisti, intellettuali e maître à penser; un altro dedicato al «terzo settore», associazionismo e volontariato vario; e un forum «del lavoro» al quale ha partecipato anche il leader Uil Luigi Angeletti. «Il partito è sostanzialmente unito», assicurano gli uomini di Fini, avendo anche Gianni Alemanno, ai primi di agosto, espresso il suo gradimento. L’affermazione che «nessuno è più contrario all’ingresso nel Ppe», va presa invece con le molle, almeno sino a domani sera.
Dell’Odg che «aggiornerà e integrerà» il nuovo manifesto programmatico ci parla Maurizio Gasparri, spiegando che da luglio sono intercorsi «fatti nuovi», sui quali occorre ricalibrare le tattiche della battaglia politica: la finanziaria in primo luogo, e le nuove normative sull’immigrazione. «Noi siamo aperti all’integrazione», assicura Gasparri, ma l’accorciamento dei tempi per ottenere la cittadinanza, la revisione della Bossi-Fini, «il diritto d’asilo che ora permette la fuga di chi poi si scopre non averne diritto», stanno provocando «danni enormi». L’Odg è stato concordato da Fini con tutti i colonnelli - meno Storace - perché ha da essere lo strumento per un autunno di lotta. «Nessuno di noi - sono sempre gli uomini di Fini a parlare - a luglio credeva che il governo Prodi andasse così rapidamente in sofferenza e crisi, non solo di consenso delle categorie ma anche dell’opinione pubblica».
Di Storace dicevamo, che ancor più dopo aver separato la sua strada da quella di Alemanno, volente o nolente finisce diuturnamente con l’indossare i panni del bastian contrario, quasi fosse il suo destino. L’ex governatore del Lazio ed ex ministro della Sanità ascolta i peana degli altri colonnelli e sospira scettico che «evidentemente sanno già che cosa dirà Fini». Lui evidentemente aspetta l’intervento iniziale del presidente del partito, prima di sbilanciarsi in un giudizio. Però, nel giorno di vigilia, scorge una nota positiva in questa Assemblea nazionale nell’averne affidato la presidenza a Franco Servello.

«È un fortissimo segnale di identità», dice Storace soddisfatto (e un po’ provocatorio) «perché Servello è la storia della destra di questo paese». Per il resto, «vedremo». Dunque si può dire che va oggi all’Ergife con prudenza e attenzione? «E scarsa fiducia», chiude Storace.

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