Fini, il cugino e gli assegni: forse rimborsi di An

Il verbale del parente del presidente della Camera che curava l'ufficio gadget accusato da una militante di aver incassato i fondi del partito: "Magari una volta o due... Non ricordo"

Fini, il cugino e gli assegni: forse rimborsi di An

Gian Marco Chiocci
Massimo Malpica


Roma
- Eccola qui la versione data in tribunale da Roberto Iannarilli, il «cugino» di Fini (in realtà cugino di Daniela Di Sotto, ex moglie del presidente della Camera), sul pasticciaccio degli assegni spiattellato da una militante di An che, per qualche anno, ha lavorato all’ufficio gadget del partito di via della Scrofa. Ana Maria Lutescu sostiene di aver versato per anni assegni sul conto corrente privato di Iannarilli, anche se erano intestati ad An o alla direzione nazionale di An, e dunque «girabili» solo se firmati dal tesoriere, il senatore Francesco Pontone.

Iannarilli (che ha detta della donna si qualificava in banca come «cugino di Fini») depone il 28 maggio del 2009. Ricorda poco, ma alla resa dei conti non esclude (quasi) niente. Si presenta al giudice come «responsabile dell’ufficio immagine del partito», e spiega: «Avevo un ufficio al primo piano dove mi occupavo di tutta la propaganda del partito», in via della Scrofa. E ricorda di essere anche stato amministratore unico della «M6, Master Servizi Italiani srl», che «si occupava di vendita all’ingrosso di oggettistica». Il pm chiede se gli «è mai capitato di gestire direttamente o indirettamente eventuali finanziamenti destinati al partito in assegni o denaro contante». Iannarilli taglia corto: «No, assolutamente mai perché c’è un segretario amministrativo che si occupa di questo, noi non eravamo titolati». E alla domanda della parte civile, su chi avesse questo potere di firma, replica sicuro: «Certo che lo so, il senatore Pontone», l’uomo a cui Fini da sempre ha delegato la firma per vendere e incassare, tanto che è lui che firma la cessione della casa di Montecarlo.

Nell’interrogatorio le sorprese non mancano. La Lutescu nella lettera che ha innescato il procedimento aveva sollevato il sospetto che Iannarilli avesse più volte incassato soldi - sotto forma di assegni intestati ad An, e non alla M6 srl o all’ufficio immagine, riferibili allo stesso «cugino» - sul suo conto personale, non potendolo fare come da lui stesso ammesso. E invece quando l’interrogatorio punta sulla questione, Iannarilli appare incerto nelle risposte. La Lutescu versava soldi sul suo conto, aveva un mandato per versarli?, chiede il pm. «No, no, se l’ha fatto l’ha fatto ed io non lo so», risponde all’inizio Iannarilli. Che poi però apre uno spiraglio: «Se è successo sinceramente è una cosa, non lo so come è successo, poi sono passati 15 anni, se è successo non lo so, forse una volta, due, non lo so». Insomma, riprende il pm, «non lo esclude del tutto». «Può darsi pure - risponde Iannarilli - che, non so, le abbia detto “vai a versare questo assegno per piacere”, ma sinceramente non me lo ricordo, dico proprio la verità guardi, cioè gli assegni sicuramente li giro io perché è ovvio non poteva nemmeno girarli la signora eventualmente». Ma gli assegni, a meno che non fossero intestati alla srl di cui Iannarilli era amministratore, non poteva girarli nemmeno lui. Il pm vuol evitare l’ambiguità e incalza: «Quindi lei esclude che le siano stati girati degli assegni che erano intestati ad Alleanza nazionale?». Iannarilli prima ipotizza che si potesse trattare di una «federazione che ha comprato dei gadget e possa aver mandato un assegno (...), ma è la federazione, non è An», e alla nuova richiesta del pm su eventuali assegni «indirizzati ad An e alla direzione nazionale» Iannarilli ribadisce: «C’è un segretario amministrativo che si occupava di questo, cioè nessuno poteva firmare assegni di Alleanza nazionale perché non sarebbero stati validi». E nega, ancora, quando è l’avvocato di parte civile a domandare se «è mai accaduto che assegni intestati in favore di An siano stati incassati o versati sul suo conto». Testuale: «Devo rispondere no per forza, è talmente evidente». Poi le cose cambiano quando è l’avvocato della Lutescu che mostra a Iannarilli un assegno, intestato ad An, chiedendogli se è sua la firma sulla girata. «La firma - risponde il cugino dell’ex moglie di Fini - non mi sembra la mia sinceramente, in ogni caso 245mila lire che Alleanza nazionale (...) può essere seimila cose, un rimborso spese per l’aereo, un rimborso spese, questo può essere seimila cose». Nuova domanda: «La firma di girata è sua?». Iannarilli replica: «Non me la ricordo (...) Alleanza nazionale è intestato, potrebbe essere un rimborso spese». Il legale insiste: «Cioè un assegno intestato ad An e c’è la sua firma dietro?». «La girata non lo so di chi è sinceramente, io non firmo proprio così, boh, non lo so», spiega l’uomo dei gadget di An, «cugino» pro tempore di Fini. Tocca al giudice intervenire: «Siccome è collegata alla diffamazione, al capo di imputazione, la domanda è questa. Se è vero che assegni a favore di An o di Msi sono stati poi versati sul suo conto corrente personale». Ci si aspetterebbe un no, ma Iannarilli sceglie una risposta più, come dire, «articolata»: «Allora guardi parliamo del 1995, io non posso sapere che è successo, le faccio un esempio. Io ci ho una società, io faccio il commercialista, ho una società dove se l’amministratore anticipa dei soldi poi se li riprende, ma questo è regolare, quindi cosa ne posso sapere se è successo e il motivo per cui è successo, quando c’è l’anticipazione dei soci il ritorno indietro è ammesso dalla legge».

La situazione si fa delicata. Il giudice insiste: «Sono stati versati assegni a favore di An o Msi sul suo conto personale dalla signora?». Al posto di Iannarilli risponde la parte civile: «Il problema è se sono stati firmati da Lamorte, se ci sono state delle sottrazioni a noi non interessa». Insomma, l’interrogatorio vira improvvisamente. Poiché Lamorte aveva querelato la Lutescu, che nella lettera-denuncia spedita a Fini accennava a un assegno girato proprio da Lamorte e da lei versato sul conto di Iannarilli, la parte civile invita a occuparsi solo della presunta diffamazione legata a quel singolo assegno. La cui firma di girata, che per la Lutescu era di Lamorte, quest’ultimo aveva disconosciuto. Così ancora il giudice legge la parte della missiva «incriminata», e sul punto Iannarilli nega, e la butta sul complotto: «È falso, tra l’altro come fa a sapere qual è il mio conto? A ricordarsi qual è il conto? Cioè tutte queste cose sinceramente, tutte queste fotocopie lasciano dubitare di una preparazione».

Ma alla fine, se Iannarilli nega la girata di Lamorte, non esclude invece che la Lutescu versasse assegni sul suo conto: «Può darsi che è andata qualche volta». Il giudice assolverà la donna sottolineando che l’unico che poteva sentirsi diffamato era Iannarilli. Che, però, non l’ha mai querelata.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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