FINI DEVE LASCIARE

In Senato le carte sulle società off-shore aperte ai Caraibi per la casa monegasca. Sono la prova che il proprietario è il cognato di Fini. Nonostante tutti gli indizi, il fratello di Elisabetta ha sempre negato ogni evidenza. Ma ora il castello di bugie è crollato

FINI DEVE LASCIARE

Roma - Più che pistola fumante, è l’eco di un colpo già esploso in autunno che risuona nell’Aula di palazzo Madama. Un colpo che, ecco la novità, non era a salve. Dietro a Printemps e Timara c’è Giancarlo Tulliani. Fino a oggi in molti lo sospettavano, compreso il «cognato» eccellente, Gianfranco Fini. Ora è un carteggio ufficiale tra il capo del governo di Saint Lucia, Stephenson King, e il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, a certificare quei sospetti come verità, a ribadire che gli esiti dell’inchiesta interna non hanno cambiato di una virgola ciò che nella capitale dell’isola caraibica già sapevano da settembre. Tulliani è il beneficial owner delle due offshore che si sono passate la casa di Montecarlo, (s)venduta da An nel luglio del 2008 per 300mila euro.
Dunque i broker internazionali di questa storia – Walfenzao, Izelaar – erano solo comparse, intermediari. Non è un caso, in fondo, che quello sia il loro lavoro. Jason Sam a Monaco, Corporate agents ltd a Santa Lucia, «battezzano» società di facciata, scatole vuote per clienti facoltosi che preferiscono appoggiarsi all’industria delle offshore per intestarsi beni mobili e immobili senza dare nell’occhio.
Non è illegale. Ed è questo che l’inchiesta delle autorità di Saint Lucia ha accertato. Tulliani, il «beneficial owner» delle due offshore, e gli intermediari coinvolti nella compravendita, «hanno rispettato leggi e regolamenti» di Saint Lucia. Di più, al governo dell’isola non interessava sapere, come scrive chiaramente il primo ministro King a Frattini, spiegandogli come anche il primo «confidential memo», quello che incastrava Tulliani come beneficiario effettivo, sarebbe dovuto restare riservato.
Ma per il fratellino di Elisabetta conta poco la «compliance» con le norme di Saint Lucia. Lui ha sempre negato di essere anche solo coinvolto di striscio in queste società. Nonostante le apparenze, che lo vedono protagonista dei lavori di ristrutturazione della casa, nonostante a quell’indirizzo si sia trasferito proprio lui. Nonostante la domiciliazione delle proprie bollette a casa del broker James Walfenzao. Nonostante un contratto d’affitto in cui le firme di locatario e locatore appaiono identiche. Circostanza questa che smentisce in maniera sonante anche l’ultimo, estremo tentativo di salvataggio compiuto da Giuseppe Consolo, ieri a Porta a Porta, e la tesi propugnata dal parlamentare-avvocato di un Tulliani «semplice beneficiario dell’immobile in quanto paga un regolare affitto».
Forse il giovane Tulliani sperava che l’inchiesta interna finisse per graziarlo, nel nome della privacy, santa patrona delle offshore. Così non è stato. Il colpo non era una bufala, non era manipolato. E, appunto, non era nemmeno a salve.

Qualunque sia il gioco a cui Tulliani ha voluto giocare, sembra che gli sia andata male. Ma va anche peggio per Fini. «Se verrà dimostrato che la casa è sua, non esiterò a dimettermi», spiegò a settembre. Il carteggio ufficiale tra i governi basterà, come certezza?

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