Fini e Casini, i due ex alleati che diventano iene

Fino a poco tempo fa denunciavano la persecuzione giudiziaria contro Silvio, adesso fanno il tifo per i pm

Roma Casini e Fini, i leader del Terzo polo, si aggrappano al «pilu» e diventano iene. Loro, gli ex alleati, in passato più volte sul palco assieme a Berlusconi per celebrarne le vittorie elettorali, ora fanno il tifo per la sua disfatta. Prima, del premier sventolavano uno il braccio destro, l’altro il braccio sinistro; adesso lo sognano monco e ne aspettano il funerale. Un tempo lo festeggiavano, ora vogliono fargli la festa. Mostrano i muscoli, Pier e Gianfranco, convinti che l’avversario stia andando al tappeto. Vorrebbero dargli il colpo del ko definitivo convinti che i pugni della Boccassini, - non solo metaforicamente sotto la cintola -, lo abbiano distrutto.
Pazienza se Casini ammetteva che «è evidente che c’è una persecuzione giudiziaria e che se Berlusconi non fosse sceso in campo come leader del centrodestra, i suoi problemi sarebbero stati archiviati molto tempo prima» (28 ottobre ’99). Giurava che «contro Berlusconi la sinistra sta applicando lo stesso teorema usato per distruggere i protagonisti della Prima Repubblica, il parallelo con Andreotti è evidente» (30 novembre ’99). Sosteneva che «la sinistra, coi suoi teoremi giudiziari, vuole impiccare gli avversari politici, primo fra tutti Berlusconi» (21 gennaio 2000). Diceva che «la persecuzione di cui Berlusconi è oggetto è attuata da una piccola parte di giudici legati alla sinistra» (24 febbraio 2000).
Ha cambiato idea come il vento che sembra spirare attorno al Cavaliere. Così, meglio consigliare all’«amico» Berlusconi di presentarsi davanti a quegli stessi magistrati considerati «persecutori» qualche anno addietro. «Il modo migliore, più decoroso e dignitoso che ha il capo del governo è quello di rispondere ai giudici», il suggerimento del leader dell’Udc. Tradotto: fìdati Silvio, metti pure la testa nel cappio. E pazienza se fino a poche ore fa lo stesso Casini trattava col Pdl per dare sostegno al governo e alla legislatura, magari strappando qualche ministero pesante.
E il sodale Fini? Stessa linea del centrista anche se dichiarava: «L’ennesimo atto della persecuzione giudiziaria cui è sottoposto Berlusconi rende sempre più evidente che l’amministrazione della giustizia in Italia è inquinata da una minoranza di magistrati che non abbandona la pratica dei teoremi giustizialisti» (23 novembre ’99). Ammoniva che «se la magistratura vuole essere rispettata deve essere imparziale. Al contrario, la politicizzazione di certa magistratura in una sola direzione è un dato incontestabile» (25 febbraio 2006). Sibilava che «verso questi magistrati la nostra reazione sarà durissima perché non intendiamo farci intimidire né da loro né dai loro dante causa, politici senza scrupoli che pensano di mantenere il potere truccando le carte della competizione democratica» (27 novembre ’99). Assicurava che «negare che si sia in presenza di un accanimento nei confronti di Berlusconi significa negare la realtà» (21 luglio ’98).
Anche Fini ora parla un’altra lingua. In più fa il moralista. Al Berlusconi che si dice divertito dall’inconsistenza delle accuse sul bunga bunga, risponde severo: «Non so cosa ci sia di divertente. È legittimo essere preoccupati, soprattutto per il buon nome dell’Italia nel mondo». Così, sconfessando la sua filosofia secondo cui «i gossip in politica? C’è chi non osserva l’undicesimo comandamento: “Farsi i fatti propri”» (25 luglio 2005), Gianfranco sguazza nell’ultima fanghiglia targata Ruby e si fa paladino dell’etica pubblica.

Quella stessa etica messa da parte nell’affaire della casa di Montecarlo svenduta tramite due società off-shore e finita al cognato Tulliani; accantonata nel caso delle pressioni per favorire la suocera e assegnarle appalti milionari; dimenticata durante i suoi interventi per far lavorare il cognato in Rai; retrocessa in occasione della Bmw utilizzata a scrocco.

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