Gianfranco Fini è indagato per truffa aggravata per l'appartamento di Montecarlo. Lo è da mesi ma non lo sapevamo. Per comunicarlo la Procura di Roma ha aspettato di annunciare contemporaneamente la sua richiesta di archiviazione. Un trattamento anomalo, nel senso che è a norma di legge. Mai prima d'ora infatti un pm aveva avuto tanto rispetto per la privacy di un personaggio politico o più in generale pubblico. Succedesse sempre così non ci sarebbe bisogno di riformare la giustizia. Evidentemente il presidente della Camera gode della stima e della fiducia delle Procure. Al punto che i pm non hanno sentito il bisogno di interrogare i protagonisti della vicenda, dalla moglie (che su quell'appartamento si è data molto da fare), al cognato che per bocca dello stesso Fini potrebbe essere il vero proprietario. Neppure quei signori che hanno dichiarato di aver offerto molto di più dei trecentomila pagati dalla off-shore sono stati sentiti.
Ora il gip dovrà decidere se accogliere la richiesta di archiviazione. La quale, peraltro, non smentisce neppure una riga dell'inchiesta pubblicata dal Giornale. Nelle carte si legge che sì il prezzo di vendita non risultava equo ma che andrebbe valutato il costo della ristrutturazione. Per questo i pm se ne lavano le mani rimandando - è scritto - la valutazione del danno a una eventuale causa civile.
Tanta prudenza cozza con la spregiudicata fuga di notizie dal tribunale di Milano su una inchiesta che coinvolgerebbe Silvio Berlusconi. Ne ha dato notizia ieri il Fatto Quotidiano. Si tratta delle dichiarazioni di una ragazza marocchina probabilmente minorenne che avrebbe raccontato di aver conosciuto Silvio Berlusconi. «Dichiarazioni non prive di contraddizioni - scrive il giornale di Travaglio - che potrebbero anche essere il tentativo di un ricatto». Ma tanto basta, e vedrete basterà, ad aprire una nuova stagione di veleni e insinuazioni. Il caso D'Addario, che giudiziariamente si è concluso nel nulla, insegna.
I due episodi chiariscono perché Fini è contrario allo scudo giudiziario e Berlusconi no. È la solita storia dei due pesi e due misure. Ne sa qualche cosa anche Paolo Berlusconi, accusato - unico editore in Italia - di concorso in violazione del segreto istruttorio. Avrebbe passato al suo giornale, cioè questo, la notizia dell'intercettazione nella quale Fassino pronunciò il famoso: «Abbiamo una banca». Notizia che sventò la scalata di Unipol alla banca Bnl, cioè una delle più sporche e imbarazzanti operazioni della finanza di sinistra.
Gli altri giornali esultano perché due notizie vere date dal Giornale vengono smontate e perseguite dai magistrati. Questa è la loro concezione di informazione: non importa la verità ma se un fatto è contro o a favore dei progetti oscuri della sinistra, se danneggia o no Berlusconi. In un caso non bastano le prove, nell'altro si dà credito a escort e ragazzine.
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