Fini: non mi dimetto. E si tiene la poltrona almeno fino a marzo

In caso di voto l’incarico istituzionale sarebbe un impiccio. Perciò vorrebbe avere le mani libere per fare il leader del Fli

Fini: non mi dimetto. E si tiene la poltrona almeno fino a marzo

Roma - Più che terza gamba della maggioranza il Fli sembra un mostro a due teste. A dispetto della sicumera con cui Fini a Mirabello disse che, testuale, «i nostri capigruppo parleranno senza distinzioni tra falchi e colombe, perché a noi non interessa l’ornitologia», sempre più spesso alle dichiarazioni del falco Bocchino fanno seguito i distinguo delle colombe finiane. Il dissenso interno ormai sgorga copioso dal gruppo del presidente della Camera, alle prese con una spaccatura sempre più evidente.

Ieri il capo dei futuristi alla Camera Bocchino, a Porta a Porta, dettava la linea, invocava un vertice di maggioranza, prefigurava un nuovo partito e graffiava il premier reo di essere il regista di «una strategia di distruzione di Fini» e poco dopo arrivava l’altolà di Mario Baldassarri, Roberto Menia, Silvano Moffa e Pasquale Viespoli: «Assistiamo, ancora una volta, a esternazioni che lasciano perplessi». Posizione, questa, condivisa da molti altri finiani che sperano e auspicano una ricomposizione col Pdl. «È bene allora precisare che, per quanto ci riguarda, le dichiarazioni e le valutazioni espresse da taluni esponenti di Futuro e libertà per l’Italia rappresentano personali prese di posizione - continuava la nota -, trattandosi di scelte non preventivamente discusse e decise nell’ambito dei rispettivi gruppi parlamentari».

Non sono andati giù soprattutto «i toni di Bocchino, specie in un momento in cui il filo del dialogo sembra essere ripreso. In questa fase delicatissima - confessa un finiano moderato - dobbiamo lavorare tutti per recuperare il confronto leale ed equilibrato con il Pdl e non contribuire a fabbricare un clima da strappo». Insomma, nel Fli c’è chi in fondo lavora per la guerra. Vinceranno i pacieri o gli incendiari? Qual è la linea ufficiale?

Per ora è il mistero ed ecco anche perché, secondo indiscrezioni de La Stampa, Fini avrebbe pensato di dimettersi da presidente della Camera. Probabilmente lo farà obtorto collo in primavera, quando oramai in molti vedono come probabili le elezioni anticipate. C’è chi giura che il pensiero di lasciare la poltrona di Montecitorio Fini l’abbia covato più volte nelle ultime ore. Non soltanto perché impantanato come non mai nella vicenda di Montecarlo ma anche e soprattutto per avere mani libere nella gestione del proto partito di Futuro e libertà. Indiscrezioni del quotidiano di Torino davano per certa questa opzione, discussa addirittura assieme a qualche suo fedelissimo. «E se mi dimettessi io autonomamente? Anche se non ho colpe non sarebbe la prova provata di uno stile profondamente diverso da quello di Berlusconi? E a quel punto non sarei più libero?». Nella mattinata di ieri un anonimo finiano si dimostrava possibilista su questa ipotesi: «Siccome è persona intelligente, non è detto che il presidente non abbia valutato pure questa mossa».

Poi, col passare delle ore, è arrivata secca una smentita da Fabrizio Alfano, portavoce di Fini: «La ricostruzione apparsa oggi sulla prima pagina de La Stampa e i relativi virgolettati attribuiti al presidente della Camera sono frutto unicamente della fantasia del suo autore». Anche se è difficile credere che Fini non conosca il motto che «una smentita è una notizia data due volte», la linea del presidente della Camera è stata: tutte balle. Nel giro di pochi minuti è arrivata la nota del quotidiano di Torino: «Alla Stampa risulta che, in occasione della preparazione del messaggio internet, il presidente della Camera abbia valutato con i suoi collaboratori anche l’ipotesi di dimissioni, specie nel caso che alla formazione dei gruppi parlamentari di Futuro e libertà faccia seguito la fondazione di un nuovo partito. Una discussione che ci è stata confermata da più fonti autorevoli». Insomma, un giallo.

Di fatto, se Fini facesse le valigie e lasciasse Montecitorio, otterrebbe un duplice risultato. Il primo, per lui auspicabile, è quello di avere mano libera nella gestione dei suoi e soprattutto di essere meno vincolato nelle sue scelte politiche.

A questo proposito vale la pena di ricordare quanto ammise il moderato Menia in quel di Montebello: «Lo dissi più volte a Gianfranco: hai sbagliato ad accettare la presidenza della Camera». Il secondo risultato, decisamente dannoso, quello di rendere palese l’anomalia di un presidente della Camera che è anche leader di un nuovo partito.

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