Fini resta fuori dal Carroccio dei vincitori

RomaNell’album di famiglia di questa impresa elettorale manca lui, il Chi l’ha visto? del Pdl, il cofondatore dei puntini sulle «i», l’eterno delfino dell’altolà, il freddo giradischi del partito caserma, il guerriero con lo scudo del «ruolo istituzionale», il motorino ingrippato della «Generazione Italia», il tutore della generazione Balotelli, il faro del neo bipartisanismo: Gianfranco Fini.
Hanno vinto Berlusconi e Bossi, non certo Fini che quando non s’è smarcato s’è defilato silenzioso sull’alta poltrona del presidente di Montecitorio. Scetticismo e distinguo in un continuo di guerre e tregue - sempre armate - con il Cavaliere. S’era detto di una resa dei conti dopo il voto: il faccia a faccia tra i due ci sarà ma soltanto dopo la settimana di Pasqua. Di certo Fini non potrà salire sul carro - anzi Carroccio - dei vincitori che, anche visivamente, resta guidato dai due: Silvio e Umberto, insieme sul palco di piazza San Giovanni a Roma a scuotere un elettorato un po’ intorpidito, mentre il finiano ventriloquo Alessandro Campi snobbava il popolo del centrodestra, «pieno di vecchi e a rischio declino». Il declino non c’è stato perché il premier c’ha messo la faccia e l’azzardo di una chiamata alle armi, o di qua o di là, mentre il presidente della Camera sceglieva come sempre di non schierarsi, attendere. Ha atteso in silenzio, Fini, un risultato che forse non pensava così positivo, non grazie a lui, ma nonostante.
Che fare adesso? Ci sarà un’andata a Canossa? Un «avevi ragione tu, Silvio, anche stavolta...»? Un riconoscimento che quando il Cavaliere decide di parlare alla pancia del Paese riesce a farlo come nessun altro? Prigioniero del suo ruolo, Fini presumibilmente continuerà a giocare la sua partita, seppur con toni e accenti differenti. Una prima avvisaglia ieri, quando per mettere in guardia del rischio di un ruolo della Lega sempre più pesante all’interno della coalizione ha usato un’insolita cautela: «Bossi è un alleato fedele e leale - ha detto ripetendo le stesse parole di Berlusconi -. Certo dev’essere il Pdl a dettare l’agenda». Lettura probabilmente condivisa dal premier.
Qualche falco berlusconiano, Giancarlo Lehner per esempio, sottolinea che «Berlusconi vince e fa vincere, Bossi vince e stravince mentre Fini è l’unico sconfitto». E graffia: «Il suo personale organo di stampa (riferimento al periniano Secolo d’Italia ndr), pur di delegittimare Berlusconi, a poche ore dal voto, si è buttato nella similitudine tra Benito e Silvio, ovviamente a favore del Duce e del fascismo (leggi razziali comprese?). Nel contempo, un professore che detta la linea al presidente della Camera, in piena campagna elettorale, ha fatto l’apologia dell’astensionismo. Insomma, l’area finiana, remando contro, ha giocato sino all’ultimo non a tressette, bensì a traversone, dove vince chi perde».
In Lazio la Polverini è riuscita nell’impresa di sorpassare la Bonino, seppur correndo con una gamba sola, grazie al sostegno del premier subito ringraziato a notte fonda dalla neo governatrice. Un segno di gratitudine che però non è arrivato al suo sponsor iniziale, Fini appunto, se non nella mattinata di ieri. Poi c’ha pensato Berlusconi a lanciarla, sostenerla, soccorrerla fino ad arrivare a esporre il governo intero con il celebre decreto salvaliste.
Ma ora? «Da sedici anni affrontiamo i problemi e da sedici anni troviamo una soluzione», aveva detto Fini minimizzando i continui screzi con Berlusconi e palesando che, fosse per lui, lo strappo definitivo non ci sarà mai. Non gli conviene: se Fini era isolato, oggi lo è ancor di più, visto che gli elettori hanno premiato l’asse Silvio-Umberto e non i ditini alzati del «no agli approcci propagandistici quando si parla di riforme» dell’ex leader di An. Così, Fini è costretto quantomeno a registrare i suoi mal di pancia, visto che molti suoi uomini ora non possono far altro che riconoscere che Berlusconi e il suo governo hanno una marcia in più.

Uno su tutti il ministro Andrea Ronchi: «Chi pensava che il governo Berlusconi sarebbe andato incontro a uno smottamento sul modello di Sarkozy ha come al solito guardato la realtà attraverso la lente deformata dell’antiberlusconismo». Mentre Italo Bocchino, in queste ore, sceglie il basso profilo e la sua «Generazione Italia» sembra già vecchia prima di nascere.

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