Roma Nell’eterna partita a poker con Berlusconi questa volta è Fini che dice «vedo». Due le motivazioni principali. La prima: dimostrare di essere leale al governo. La seconda, più aleatoria: rendere palese, alla Camera, che la sua pattuglia è ancora determinante per le sorti del governo e della maggioranza che lo regge. Quando il presidente del Consiglio a fine mese andrà in Parlamento ad illustrare gli sviluppi della situazione politica, i finiani avranno l’occasione per dimostrare, forse, che con loro bisogna per forza trattare. Ecco perché ieri Fini, in partenza da Ottawa per far rientro in Italia, ha voluto sottolineare che sulle dichiarazioni che il premier farà a Montecitorio «ci deve essere un voto». E poi ha aggiunto: «Non ha senso fare il discorso senza un voto. Se no - ha spiegato - il presidente del Consiglio cosa cerca a fare il sostegno di 316 deputati?». La dichiarazione, letta come ennesima sfida al premier, è stata poi smussata dal portavoce di Fini, Fabrizio Alfano: «Nessuna richiesta di voto dal presidente della Camera. Solo un problema di logica: se Berlusconi chiede di verificare se c’è una maggioranza, si presuppone ci sia anche la volontà di chiedere un voto». A rispondere a Fini il vicepresidente del Pdl Osvaldo Napoli: «Nessuno dubita sulla necessità di un voto parlamentare sulle comunicazioni del premier. Sul perché Berlusconi starebbe cercando il traguardo dei 316 deputati lo potrebbe spiegare lo stesso Fini». E comunque, ha sottolineato Napoli: «Non è lui che decide se ci vuole il voto o meno, ma i capigruppo. Ha dimostrato di non essere super partes».
L’attenzione tuttavia è posta alle trattative in atto per garantire al governo una navigazione serena verso la fine della legislatura. I finiani, anche se minimizzano il gioco della conta, pensano che i numeri siano dalla loro parte. Scommettono, cioè, che entro fine mese Berlusconi non riuscirà ad arrivare al traguardo di 316 senza di loro. Il voto, poi, avrà anche il vantaggio per Fini di mostrarsi come forza responsabile. Il quasi scontato «sì» che arriverà dalle truppe del leader del Fli poggia su una convinzione: Berlusconi non farà un discorso di rottura, né di critica aspra nei confronti del presidente della Camera. Da ambienti finiani c’è la consapevolezza che il premier parlerà dei buoni risultati ottenuti finora dal governo; del programma che intende portare avanti fino al termine della legislatura; del mandato ricevuto dagli elettori per fare le cose che servono al Paese. Nessun attacco diretto al presidente della Camera, in quella sede, anche per non istituzionalizzare lo scontro.
La certezza di questo si basa anche sui canali aperti tra i due schieramenti, mai interrotti e in queste ore addirittura intensificati. L’argomento caldo resta quello della giustizia e da parte pidiellina starebbero lavorando il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta e il Guardasigilli Angelino Alfano. Sul tavolo rimane la spinosa questione dello scudo giudiziario. Si sonda, infatti, la possibilità di un appoggio finiano a una qualche modifica del legittimo impedimento. Qualora ci fosse l’ok, la Consulta posticiperebbe necessariamente il suo giudizio di costituzionalità sul provvedimento e contestualmente si potrebbe far ripartire l’iter di un lodo Alfano costituzionale. Scudo giudiziario per il ruolo del capo del governo a cui, peraltro, Fini s’è sempre dichiarato disponibile.
La ratio di queste manovre sta nel fatto che né Berlusconi né tantomeno Fini hanno intenzione di andare al voto in questo momento. Ma questo non vuol dire che una sorta di armistizio possa portare alla pace, anzi. Si tratta esclusivamente di convenienza: a Fini lo strappo, con la probabile conseguenza delle urne, ora non giova affatto. I sondaggi gli consigliano prudenza e neppure le trattative in atto per un ipotetico terzo polo stanno andando a gonfie vele. Anzi: sta emergendo con tutta chiarezza la difficoltà di far comunella con Lombardo, Rutelli, ma soprattutto Casini.
Se a Mirabello, domenica scorsa, era parso chiaro a tutti il messaggio conciliante nei confronti del centrista con quel riferimento al quoziente familiare e alla necessità di rivedere la legge elettorale, ieri è andato in scena lo scontro tra Fini e Casini proprio sulla legge elettorale.
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