Fini sindacalista della casta: adesso difende i privilegi di chi sa solo pretendere

I parlamentari non accettano il taglio degli stipendi. Altro che sacrifici per tutti: ogni volta che si parla di tagli spunta un cavillo. E Gianfranco l’ha scovato

Fini sindacalista della casta: adesso difende i privilegi  di chi sa solo pretendere

«Maestà il popolo non ha più pane». «Mangiassero brioche».
È evidente che non hanno capito. Quando dal Palazzo arriva la notizia che i parlamentari non accetteranno il taglio dei loro stipendi la prima reazione è: questi sono pazzi. Non hanno capito che questa crisi fa paura davvero. Non hanno capito che troppa gente è stanca di fare sacrifici, che lo stipendio va via in un amen, che la pensione è un miraggio e le tasse sono come quelle di Sherwood, ai tempi di Robin Hood. Non hanno capito che questa è senza perdono.
Eppure ci provano. Fini è a Cagliari e le sue parole hanno lo stesso tono di Maria Antonietta nelle stanze di Versailles. Il presidente della Camera, con la faccia più seria del mondo, dice che nel decreto c’è un piccolo errore. Ops, una faccenda costituzionale. Il governo non può decidere di tagliare gli stipendi di onorevoli e senatori. Non spetta a lui. Solo i parlamentari possono decidere cosa fare del proprio portafoglio. È una questione di garanzia e autonomia. Non sono italiani come tutti gli altri. Sono i rappresentanti del popolo. Sono sovrani. Quindi, Monti ha sbagliato. È stato inopportuno.
Tutto vero. Fini in linea di principio ha ragione. Solo che le sue parole, in questo inverno di crisi, ricordano quelle della regina. Anche lei non aveva capito. Maestà il popolo non ha più pane. Mangiassero brioche.
Fini magari è abituato, ma in questo metterci la faccia senza scomporsi è davvero di ghiaccio. Si ritrova a indossare gli abiti da «sindacalista della casta». L’uomo che difende i privilegi di quelli come lui, gettando sul muso degli italiani una giustificazione che sa tanto di scusa. «Quella norma era scritta male». È un errore. Sarà corretto.
Quando? È qui il problema. Con una certa calma burocratica. Prima di tutto si istituisce una bella commissione. A capo ci si mette il presidente dell’Istat. Come sostiene lo stesso Fini «bisogna individuare una modalità che non si discosti troppo da quella già in atto in altri Paesi europei». E qui cominciano nuovi problemi. Lo stipendio sarà uguale a quello dei parlamentari francesi o inglesi, tedeschi o spagnoli, olandesi o come quelli belga dove vivono sereni perfino senza governo? Facciamo che sceglieranno il salario più alto. E poi per non farsi accusare di plagio degli stipendi altrui ci aggiungeranno un’altra cifra tonda. Tutto questo nel più breve tempo possibile. Quando, quindi? Fini resta sul vago. «Nelle prossime settimane, dopodiché le due Camere tradurranno in apposite norme interne il risultato dei lavori di questa commissione». E qui scattano imprecazioni in tutti i dialetti dello Stivale, regioni speciali incluse.
Maria Antonietta in fondo era più raffinata nelle sue soluzioni. Quello che il sindacalista Fini ci sta dicendo invece è più o meno questo: tranquilli, voi pagate subito il prezzo della crisi, anzi anticipate anche per noi, poi in qualche modo facciamo i conti. Promesso, prima o poi i soldi ve li ridiamo.
Chiedi. Ma perché non pagate subito? Risposta. Sai, abbiamo un problemino con il bancomat, il pin è scritto male, domani facciamo una riunioncina e decidiamo come pagare. Il guaio per Fini e gli altri è che non è facile fidarsi di loro. Sono recidivi. Questa storia del taglio degli stipendi va avanti da una vita e ogni volta c’è un cavillo che manda tutto a monte. Adesso è lo strappo costituzionale del governo Monti. Certe decisioni non si prendono per decreto, dice Fini, dicono gli altri. Perfetto. Allora il Parlamento approvi una legge per ridurre gli stipendi della casta. La Costituzione è salva e gli italiani non si sentono presi per i fondelli. Basta poco.
Niente brioche, onorevole Fini. E come sindacalista non assomiglia a Di Vittorio, non si sta battendo per i diritti dei braccianti contro il latifondo.

Non si può dire «viva Monti» e poi fare melina non appena l’illustrissimo rettore della Bocconi tocca il suo portafoglio. Altrimenti gli italiani prima di pagare la nuova Ici istituiranno una commissione di condominio per valutare quanto si paga all’estero. Anche la proprietà privata, in fondo, è un diritto costituzionale.

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