Fini: subito una risposta efficace o l’Unione rischia la paralisi

Barroso: «Il Trattato non è modificabile» Pera: «Ma non si può far finta di niente»

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Massimiliano Scafi

da Roma

Due no, due schiaffi nelle urne, due lividi che deformano il volto dell’Europa. Dopo i referendum, ammette Gianfranco Fini «non si può far finta di nulla perché nulla sarà come prima». Però, insiste, «non possiamo rassegnarci alla paralisi, non possiamo accettare che il Trattato venga ibernato in attesa della definitiva sepoltura». L’immobilismo, spiega il ministro degli Esteri, è la strada peggiore: «Porterebbe a una deriva intergovernativa e farebbe riapparire i direttori». Bisogna quindi «riflettere», evitare «soluzioni frettolose e unanimismi di facciata», trovare il modo «di avvicinare i cittadini e le istituzioni». Ma intanto l’iter delle ratifiche, «un obbligo politico, giuridico e morale», deve proseguire. A questo non c’è alternativa, come dice anche José Manuel Barroso: «Non vedo come si possano riaprire i negoziati per rivedere la Costituzione. È una cosa improponibile, difficile ipotizzare un nuovo compromesso. Serve invece una risposta chiara e comune dal prossimo Consiglio europeo del 16 e 17 giugno». E basta con il tiro al piccione. «Se si attacca Bruxelles sei giorni a settimana - si chiede il presidente dalla Commissione - come si può pretendere il sostegno dei cittadini la domenica?».
Fini e Barroso sono a Messina, mezzo secolo dopo la prima conferenza europea. Cerimonia un po’ mesta, nonostante il messaggio spedito da Carlo Azeglio Ciampi: «Non si torna indietro, non ci si arrende di fronte alle difficoltà, non si mette a repentaglio il patrimonio acquisito, ma si superano gli ostacoli con rinvigorita lena». Ma qualcosa va ritoccata, ormai è chiaro. «Bisogna cambiare strada - sostiene a Lucca in un convegno Marcello Pera -, dopo il no francese e olandese non si può fare come se niente fosse. Si parlava di ponte transatlantico, ma qui uno dei due pilastri si è indebolito. L’Europa, come accadde già cinquant’anni fa dopo la bocciatura dell’idea di un’unione militare, deve ripartire dall’economia, soprattutto per quanto riguarda una migliore integrazione e la ripresa dello sviluppo. Bisogna insistere sui bisogni delle imprese, dei cittadini e delle famiglie, creare una Ue più ricca e più competitiva. La politica monetaria non può essere più separata dalla politica enonomica, se vogliamo evitare che il trattato di Maastricht strangoli tutto».
E tocca ad Antonio Martino, figlio di Gaetano, l’economista che rappresentò l’Italia alla conferenza della Ceca di Messina del ’55, insistere sulla necessità di una svolta. «È vero che le Costituzioni sono scritte sulla carta - dice -, però dovrebbero vivere anche nel cuore della gente. E 114 articoli sono davvero troppi. La vecchia concezione di Europa basata sull’asse franco-tedesco è fortemente incrinata, ma questo non è un fatto del tutto negativo. Ora c’è Tony Blair, sicuramente il più europeista dei primi ministri inglesi e sono certo che si adopererà per superare la fase di stallo». Ottimista pure Barroso: «Dalla difficoltà usciremo con più slancio, l’importante è evitare azioni unilaterali. La Ue deve dimostrare di agire con determinazione, il primo testo potrà essere un accordo sulle prospettive finanziarie 2007-2013».
Andare avanti con il programma, questa è pure la linea del governo italiano. «Occorre trovare al più presto una risposta efficace al malessere - conclude Fini -, dando più credibilità e più contenuti al progetto. Ma niente soluzioni frettolose.

L’Unione resta un organismo forte e solido, con regole e strutture condivise». E l’Italia, che «ha l’autorevolezza per prendere iniziative», forse proporrà di anticipare l’applicazione di alcuni punti del Trattato: difesa e politica estera comuni.

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