Il barometro più attendibile sullo sbocco della crisi lo davano ieri sera, nel cortile ormai semideserto di Montecitorio, alcuni deputati del Pd. Parlamentari di lungo corso, di vasta esperienza e di buon naso politico, intenti a fare i conti.
Non i conti dei deputati e senatori che servirebbero a fare nuove maggioranze, governi tecnici o di transizione o governissimi o governicchi, purché senza Berlusconi: i conti dei parlamentari del Pd destinati a tornare, di qui a qualche mese, nelle aule di Montecitorio e di Palazzo Madama. Dopo le elezioni anticipate, date quasi per certe a marzo-aprile. I risultati, per il partito di Bersani, sarebbero drammatici, «ma la matematica non è unopinione», spiegavano gli autori del calcolo: con una percentuale per il Pd attorno al 25%, lesercito di 217 deputati portati alla Camera nel 2008 nelle liste guidate da Walter Veltroni sarebbe destinato a perdere più o meno 80 seggi. Ne rimarrebbero 125, gli altri sarebbero rimpiazzati da parlamentari di Antonio Di Pietro e della Sinistra di Nichi Vendola; e da quelli di Fini, Casini e Rutelli se il cosiddetto Terzo Polo correrà in proprio.
Uno scenario devastante, davanti al quale molti nel Pd si ritrovano ad augurarsi davvero un Berlusconi bis, altro che governi tecnici. Ma le speranze di evitarlo sono molto esigue: anche nellopposizione si è fatta strada la convinzione che gli spazi di alternativa al voto anticipato sono davvero ridottissimi. E da quelle parti, dove Giorgio Napolitano è ben conosciuto, i segnali del Quirinale vengono interpretati in modo chiaro: lattuale presidente non è e non sarà mai «il nuovo Scalfaro». Auspica stabilità, senso di responsabilità e afflato unitario delle forze politiche, ma di «ribaltoni» non vuol sentir parlare. E per quanto gli possa pesare assai la responsabilità di sciogliere le Camere dopo appena due anni e mezzo di legislatura, non è disponibile ad evitarlo a qualunque costo: se anche si riuscisse a mettere insieme una maggioranza attorno a un nuovo candidato premier, spiegano in molti nel Pd, assai difficilmente il presidente potrebbe avallare unoperazione che tagli fuori Pdl e Lega.
Per questo Gianfranco Fini (che fino alla settimana scorsa si presentava come il baluardo anti-Carroccio) ieri ha provato ad aprire un varco con la Lega, mettendo sul tavolo nomi come quelli di Tremonti e addirittura di Maroni. Se la diga della Lega si crepasse, anche nel Pdl si potrebbe innescare il tana libera tutti. Ma nelle riunioni avute con i suoi colonnelli (tra i quali magari qualcuno potrebbe essere tentato da nuove prospettive) il leader del Carroccio è stato chiaro: «Io Berlusconi non lo tradirò mai. Quando sono stato male avrebbe potuto comprarsi in un secondo il mio partito, e non lo ha voluto fare. Anzi, mi ha aiutato. E una cosa così non si dimentica». Più chiaro di così, lo stop a tentazioni divergenti non poteva essere.
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