«Fini va via? Non lo seguirei mai»

Massimo Corsaro appartiene alla non diffusa categoria di politici che cercano di dire quel che pensano. Quando Gianfranco Fini era saldamente a capo di An, non gli ha risparmiato critiche. Adesso che Fini non è più Napoleone «folgorante» in via della Scrofa e presto neanche in via dell’Umiltà, Corsaro cita Manzoni «vergin di servo encomio e di codardo oltraggio». Forse a casa stapperà una bottiglia di Cristal, ma in pubblico modera le parole.
Perché Fini esce dal Pdl dopo un’altra vittoria elettorale?
«Intanto spero che non sia vero che se ne stia andando, ma osservo anche che non è certo la prima volta che manifesta un disagio. Probabilmente dipende anche dal fatto che il suo congelamento nel ruolo istituzionale non è congeniale a un cavallo di razza della politica come lui».
Farebbe meglio a lasciare la presidenza della Camera?
«Forse, col senno di poi, quando si è dato vita al Pdl, sarebbe stato più opportuno scindere le responsabilità di governo e di partito e concludere un’intesa in cui Berlusconi era capo di governo e Fini presidente di partito. Ma è senno di poi».
È troppo tardi per recuperare?
«Sono spesso in disaccordo con le esternazioni di Fini, perché con l’obiettivo di recuperare la centralità politica che gli appartiene ha scelto posizioni distanti sia dalla sua stessa tradizione che dal sentimento degli elettori del Pdl».
A questo punto la domanda è quasi inutile: lascerebbe il Pdl per seguire Fini?
«Certo che no. Se si arriva alla rottura, mi sento non solo un rappresentante eletto dal Pdl ma anche un rappresentante politico di questo partito di cui sono orgoglioso. E quindi non mi interessa nessuna soluzione che preveda un’uscita dal Pdl. Detto questo, continuo a formulare l’auspicio che rimanga».
In Lombardia Fini ha poco appeal. Quali sono le ragioni?
«Pochissimi casi isolati sono pronti a seguirlo: Valditara, Muscardini e basta. La Lombardia è più esposta ai problemi legati all’immigrazione e in Lombardia prima che altrove, i dirigenti e gli elettori hanno fortemente sofferto, non compreso e non condiviso le sue prese di posizione in materia di sicurezza e di controllo dell’immigrazione. Poiché la battaglia sull’identità appartiene alla storia della destra, la virata di Fini in termini di scelte politico culturali è meno apprezzata che altrove».
Pensa che la proposta di Fini non avrà alcun seguito a livello locale?
«La percentuale di dirigenti di An che sceglieranno Fini sarebbe molto inferiore che altrove. Ma fino a quando la decisione di Fini non sarà ufficiale, preferisco continuare a pensare che ci siano margini di recupero e che Fini non lascerà il partito».
Il ruolo di Formigoni ha aiutato a trattenere gli elettori di An attrattati dalle sirene della Lega?
«Uno che alla quarta volta consecutiva raddoppia il suo vantaggio sull’avversario non può che essere considerato un valore aggiunto. Chi ha un fuoriclasse se lo tiene stretto, mi sembra evidente».
Un’uscita di Fini può frenare l’emorragia di voti verso la Lega?
«L’eventuale venir meno di un’ambiguità della risposta del Pdl su temi fortemente sentiti dal territorio certamente ci fa riacquisire competitività nei confronti della Lega, che ha approfittato delle divisioni interne al Pdl, a volte speculando».
Le critiche di Fini al Pdl sono tutte strumentali o c’è qualcosa su cui riflettere?
«Forse noi che veniamo insieme a Fini da An siamo abituati a un’analisi politica più discussa e approfondita.

Detto questo, ricordo che il Pdl ha vinto tutte le elezioni possibili e immaginabili e che il governo Berlusconi è l’unico che nel pieno della crisi ha rafforzato il proprio consenso invece che indebolirlo. Sono dati di fondamentale importanza, dei quali non si può non tener conto».

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