Roma

Finisce in Tribunale il caso Montaguti-Celin

Antonella Aldrighetti

Qual è il limite massimo concesso «more uxorio» e la facoltà di affidare alla propria consorte un incarico di valore dirigenziale? Se fino a una decina di giorni fa il «caso Montaguti-Celin» ossia il fatto che il manager del Policlinico Umberto I, Ubaldo Montaguti, acconsentendo all’ingaggio della moglie Daniela come coordinatrice del proprio staff, aveva destato più di qualche perplessità, ora starà ai giudici del lavoro stabilire la legittimità del contratto di lavoro. Sì, perché quella che poteva essere considerata una manifesta dichiarazione di fiducia di un marito alla propria moglie anche in campo lavorativo, per il sindacato di categoria Fials-Confsal, palesa decisamente un illecito amministrativo. «L’eccezione dinanzi al tribunale si fonda essenzialmente su due assunti - spiega infatti Antonino Peraino, legale rappresentante del sindacato -. Il primo riguarda la creazione di sana pianta del coordinamento di staff e quindi l’affidamento a personale esterno al nosocomio universitario, in assenza di pianta organica e atto aziendale; il secondo impugna il comportamento antisindacale manifestato dall’azienda nell’attivare un contratto esterno senza che le organizzazioni di categoria ne venissero a conoscenza prima e potessero quindi dire la loro. In questo modo il sindacato è stato isolato, estromesso. L’azienda dovrà in tribunale motivare le ragioni e le necessità di tale assunzione». E starà proprio a Montaguti delegare un legale per rispondere del contratto da 108 mila euro offerto alla moglie-dirigente. E questo anche se la nomina della Celin è stata avallata, il 10 agosto scorso, dal direttore amministrativo facente funzioni di direttore generale, Elisabetta Paccapelo, attuale manager dell’Asl Roma C. L’udienza, a sentire il legale, potrebbe essere fissata entro un mese e poi ci sarà da attendere il verdetto. Si potrebbe profilare, inoltre, quella che i manuali di diritto chiamano responsabilità erariale. Colpevolezza o innocenza? «Teniamo in conto che l’amministrazione del Policlinico ha ritenuto di non dover rispondere ai nostri rilievi in merito all’asserito deficit di oltre 100 milioni di euro per l’anno in corso che già di per se non avrebbe consentito la stipula di un contratto così oneroso - ha specificato Gianni Romano segretario regionale della Fials-Confsal del Lazio -. La nostra rappresentanza al Policlinico, che associa la maggioranza dei medici sindacalizzati dell’ospedale, quando ha saputo della nomina della dottoressa Celin si è stupita dal momento che l’Azienda universitaria poteva utilizzare il personale medico dipendente, previo avviso pubblico per la verifica dei requisiti professionali posseduti, prima di stipulare un contratto di tipo privatistico con personale esterno». Che sia stata una svista o una necessità impellente, Romano non ci sta: «L’episodio - dice - rispecchia una tendenza del tutto personalistica del direttore generale nella gestione d’interessi garantiti dalla legge che contrasta fortemente con le aspettative dei lavoratori dell’Umberto I».

Codice civile a parte, quello deontologico, etico-comportamentale avrebbe voluto che prima di guardare fuori dalle mura del nosocomio si fosse cercato all’interno un dirigente adatto all’incarico, già inquadrato e quindi già retribuito con risorse pubbliche e non fra le mura domestiche.

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