Finita l’era degli assalti alla diligenza

da Roma

È finita l’epoca degli «assalti alla diligenza» della legge Finanziaria? A sentire Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti sembra di sì. Il premier e il ministro dell’Economia sono certi che il piano triennale per la finanza pubblica sarà approvato in tempi molto rapidi dal Parlamento. Niente assalti, niente agguati. Ma anche niente litigi in Consiglio dei ministri, visto che la discussione di mercoledì sulla manovra è durata ben 9 minuti e 30 secondi. Se davvero la manovra 2009-2011 segnerà il tramonto di una pratica trentennale, potremo davvero dire che è finita un’epoca.
La similitudine venne in mente a Giovanni Goria, ministro del Tesoro dal dicembre 1982 al luglio dell’87, per intenderci la stagione craxiana con due appendici fanfaniane, all’inizio e alla fine. Giovane politico piemontese, enfant prodige della Dc, si rivide per un momento nei panni di John Wayne in Ombre Rosse (il cui titolo originale era Stagecoach, diligenza) intento a difendersi dall’attacco dei pellerossa e dei banditi durante l’esame parlamentare della legge finanziaria. «Ma questo - sbottò un giorno, davanti agli agguati che giungevano da ogni dove, mascherati da emendamenti - è un assalto alla diligenza».
Dai ruggenti anni Ottanta fino a ieri, l’assalto alla diligenza si è ripetuto puntualmente ad ogni passaggio parlamentare fra i canyon di Montecitorio e di Palazzo Madama. Protagonista e testimone oculare di numerosissimi assalti, Paolo Cirino Pomicino - a lungo presidente della commissione Bilancio della Camera e poi ministro del Bilancio - era accusato di aver creato una sorta di «sportello spese», al quale bussavano in tanti. Nel suo libro Strettamente riservato ricorda Franco Bassanini che perorava la causa di una funivia in Val d’Aosta, la verde Annamaria Procacci che chiedeva regolarmente 10 miliardi (di lire, ovviamente) per l’anagrafe dei cani e Vincenzo Visco che proponeva di aumentare le entrate fiscali (una vera e propria mania) per poter spendere di più. E c’era il funesto «emendamento cimiteriale», numero 17.17, firmato da Silvano Labriola, Angelo La Morte e Carlo Satanassi, che concedeva alcune decine di miliardi per l’allargamento delle aree cimiteriali. Nessuno osava votare contro. Lo zoo di Napoli, la rocca di Orvieto, il bacino del Flumendosa in Sardegna, il restauro di villa Schifanoia a Firenze: tutto meritava un finanziamento aggiuntivo.
Minimalia, si dirà. Ma non solo. Tanto per tornare un momento al povero Goria, ricordiamo che per finanziare un aumento di spese per gli Enti locali - pallino del Pci, che governava negli anni Ottanta molte grandi città - venne creata dal ministro la cosiddetta «tassa sulla salute», cioè un contributo sanitario allargato ai redditi non da lavoro, come quelli immobiliari. Goria la decise per ottenere 500 miliardi, ma di miliardi ne arrivarono a decine di migliaia. A noi del Giornale rimase la magra soddisfazione di aver inventato il termine, sparandolo in prima pagina. E anche limitandosi ai piccoli emendamenti, ogni passaggio parlamentare della Finanziaria - calcola Cirino Pomicino - costava in lire fra i 1.500 e i 2.000 miliardi. In era Prodi, la cifra triplicò. Giulio Andreotti definì «Finanziaria da supermarket» la legge di Bilancio 2007, varata dal Professore. Massimo D’Alema andò oltre, parlando di «legge da suk». La Finanziaria 2007 venne approvata con voto di fiducia sotto forma di unico maxi-emendamento da 1.365 commi. In questo caso l’«assalto alla diligenza» era giunto dal governo stesso. Tommaso Padoa-Schioppa s’era evidentemente rifugiato a Fort Apache.
A precedere l’assalto c’erano i litigi all’interno dei governi, che esplodevano nelle notti in cui la Finanziaria veniva varata, il 30 settembre di ogni anno.

Un episodio per tutti: durante una delle tante «notti finanziarie», il ministro dell’Industria Antonio Marzano minacciò le dimissioni quattro o cinque volte, perché i colleghi gli sottraevano i fondi europei. La riunione finì alle 6 e mezza del mattino successivo. I nove minuti e mezzo di discussione, mercoledì sera a Palazzo Chigi, sembrano segnare una cesura col passato. La controprova al 30 settembre prossimo.

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