Finora la sinistra ha collezionato solo rifiuti

Stavolta «non si può fare». I numeri lo confermano: per Pd e centrosinistra - con o senza trattino, con o senza alleati - stavolta l’ambizione massima è un’onorevole sconfitta. E così nelle fila della attuale opposizione non ci sono uomini disposti al «sacrificio» contro Roberto Formigoni.
Di nomi in realtà ne sono girati diversi in questi mesi. Per esempio nell’ipotesi di una sospirata intesa con l’Udc si è parlato di candidatura per due ex dc impegnati nella «Costituente di centro», entrambi con spiccate preferenze verso sinistra. Si tratta dell’ex leader della Cisl, Savino Pezzotta, e dell’ex presidente della Regione Bruno Tabacci. Ma entrambi non hanno un gran seguito neanche nel loro stesso partito, soprattutto nell’ipotesi in cui fossero sostenuti dal Pd contro il presidente in carica. Insomma l’Udc lombardo fra l’attuale governatore e i suoi stessi esponenti (Tabacci o Pezzotta) sceglierebbe il primo, e questo il segretario regionale dei centristi Luigi Baruffi lo ha detto chiaro e tondo.
Altri nomi circolati, nel Pd, sono quelli del consigliere comunale Davide Corritore, e dell’europarlamentare Antonio Panzeri. Per qualche giorno è spuntata anche un’ipotesi indubbiamente affascinante, anche per le possibili ripercussioni nazionali: si è parlato di un impegno diretto di Enrico Letta, già candidato alla segreteria del Pd, ora sostenitore della mozione Bersani. Per molti il suo rinnovato sodalizio con Pierluigi Bersani era destinato a proporre un ticket, con l’ex ministro emiliano al partito (che vuole solido e agganciato al modello organizzativo socialdemocratico) e il più giovane e moderato collega candidato presidente del Consiglio, nella speranza di attrarre elettori centristi. E una (difficile) scalata al Pirellone sarebbe stato un buon trampolino di lancio. Ma Letta ha detto: «No, grazie». La stessa risposta del giuslavorista Pietro Ichino. È tornato di tanto in tanto anche il nome di Antonio Di Pietro, ma per l’ex pm vale la stessa controindicazione.

In pieno furore giustizialista il capo dell’Idv si imbarcherebbe in un’impresa quasi certamente perdente col rischio di veder stroncata la sua carriera, e con essa il progetto di soppiantare l’inconcludente opposizione dei democratici con la sua, dura e pura? Premesse diverse ma risultato identico per Filippo Penati, che dopo la «trionfale sconfitta» delle Provinciali (virgolettato suo) finora è sembrato più interessato a Palazzo Marino che non al Pirellone. Anche se potrebbe cambiare idea.

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