Enrico Silvestri
da Milano
Un colpo da veri professionisti, freddi e controllati (niente violenza e niente armi) ma soprattutto ben informati. Il principale «sistema» di sicurezza usato dal dipartimento di tossicologia forense per proteggere i grossi quantitativi di droga in attesa di essere analizzati, era infatti la riservatezza. Pochissime persone sapevano che al secondo piano di via Mangiagalli 37 vengono custodite decine di chili di stupefacente di cui deve essere stabilito il «principio attivo». Ma tra questi anche i 4 banditi che, spacciandosi per carabinieri sono entrati, hanno immobilizzato sei persone, si sono fatti aprire la porta blindata e sono poi scappati con circa 100 chili di cocaina. Che sul mercato può valere, in base alla purezza, dai 10 ai 50 milioni di euro. In vecchie lire, dai 20 ai 100 miliardi.
«Saranno state le 9.15 - racconta ora il direttore del dipartimento Franco Lodi - quando un mio collaboratore è arrivato trafelato nel mio ufficio gridando Presto, venga nel bunker. Sono corso e ho trovato i tecnici legati. Il tempo di capire cosa fosse successo, liberarli e lanciare lallarme».
Cera ben poco altro da fare del resto, dei «carabinieri» infatti non cera più traccia. I banditi presumibilmente sono entrati nellistituto di medicina legale, che comprende il dipartimento di tossicologia forense, tra le 8.30 e le 8.45. Hanno attraversato latrio, preso lascensore e sono saliti al secondo piano. Qui hanno suonato al citofono degli uffici, protetti da una porta blindata. Dallaltra parte la dottoressa Paola T., 49 anni, che si trovava assieme ad altri cinque colleghi, ha dato unocchiata al monitor del video citofono. «Siamo carabinieri», ha detto un bandito mostrando una patacca di metallo. Niente di strano, al dipartimento confluiscono i sequestri di droga di quasi tutta la Lombardia, per cui landirivieni di forze dellordine è abbastanza consueto. La dottoressa ha fatto entrare i quattro, volto scoperto, tre vestiti di scuro, uno in jeans e maglietta grigia, che le hanno spiegato di essere stati mandati per un «prelievo». Paola T. a quel punto si è insospettita per la mancanza di tesserini, documenti e mandati, ma ormai era troppo tardi. I sei dipendenti sono stati immobilizzati con fascette di plastica da elettricisti, quindi i banditi hanno costretto la responsabile a digitare la combinazione del caveau, foderato di cemento armato e protetto da una porta dacciaio di 8 tonnellate e mezzo e da un cancello metallico. Hanno riempito quattro borsoni di droga, quasi un quintale, e sono fuggiti.
Lanciato lallarme, sul posto dopo qualche minuto sono arrivati i carabinieri, il procuratore aggiunto Alberto Nobili e il pm di turno Gaetano Ruta. Subito chiaro che i banditi sono stati informati da una «talpa»: poche persone infatti sono a conoscenza che il dipartimento custodisce simili quantitativi di droga. Forse il miglior sistema di sicurezza adottato per proteggersi dagli assalti dei malviventi. Per questo gli investigatori stanno preparando un elenco di tutti coloro, studenti, docenti e tecnici, che hanno accesso al «bunker» o sono solo informati della sua esistenza. Il colpo è stato portato a termine in una mezzoretta da veri professionisti: freddi e lucidi, hanno impiegato il minimo della violenza, qualche spintone e nulla più, e non hanno esibito armi. Banditi anche «gentili», non hanno esitato ad allentare la fascetta quando una delle vittime si lamentava che le stava segando i polsi. Infine fortunati: lingresso principale, come quello secondario che porta allobitorio, è sorvegliato da telecamere collegate ai video ma non a impianti di registrazione.
Elevatissimo il bottino: in strada un «quartino» costa sui 25/30 euro, vale a dire 100 al grammo, che moltiplicato per 100mila fa 10 milioni tondi tondi.
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