Fiorani ai giudici: così il sogno è diventato incubo

«Nell’estate del 2004 illustrai il progetto al senatore Grillo e a Chicco Gnutti»

Stefano Zurlo

da Milano

Il volto è scavato, il carcere ha lasciato una traccia sui lineamenti. Ma Gianpiero Fiorani è ancora un uomo brillante, preciso, capace di parlare per ore con la velocità di una mitragliatrice senza mai impappinarsi. Nella grande aula del Palazzo di giustizia spiega per sette ore la storia della tentata scalata ad Antonveneta. Ricostruisce l’origine dell’operazione, i colloqui con il senatore Luigi Grillo e il finanziere Chicco Gnutti, il dialogo continuo con il governatore Antonio Fazio, la trasferta a Villa Certosa per illustrare il piano a Silvio Berlusconi. È solo la prima puntata, perché alle sei di sera l’ex banchiere torna a casa, agli arresti domiciliari. E il suo avvocato, il solitamente pacato Marco De Luca, allunga una stoccata alla Procura: «I Pm avrebbero potuto aspettare fino al 13 giugno, quando Fiorani dovrebbe tornare libero, invece si è preferito interrogarlo così, in uno stato di sudditanza psicologica».
In verità, Fiorani, impeccabile nel completo grigio, appare padrone di sé. Tecnicamente, la giornata viene catalogata alla voce incidente probatorio: l’anticipazione di un pezzo del processo. Lui sta seduto al banco e il banco è appoggiato alla cattedra da cui il gip Clementina Forleo domina la scena. Ci sono suggestioni scolastiche in questa composizione, ma le analogie finiscono lì. A porre le domande sono i tre pm Francesco Greco, Giulia Perrotti, Eugenio Fusco. Dietro di loro ribolle un battaglione di avvocati, in rappresentanza dei settanta indagati.
Fiorani attacca descrivendo la genesi del sogno. Anzi, per come calibra le parole e le mette in fila, si capisce che l’idea era vestita di concretezza: «La Popolare di Lodi doveva fare un salto dimensionale e avevamo due opzioni: puntare sulla Bnl o su Antonveneta. Decidemmo per Antonveneta». Il motivo? «Antonveneta era complementare a Bpl e il nuovo istituto di credito avrebbe fatto quel salto da noi auspicato. Avremmo avuto una redditività di 1 miliardo, 2mila filiali, avremmo servito 160mila piccole e medie imprese». Dalla scalata - afferma rapido - sarebbe nata «la Banca Popolare Italiana, la Banca Popolare d’Italia».
Se potesse mostrerebbe anche delle slide o manovrerebbe il mouse: «Nell’estate del 2004 illustrai il mio progetto al senatore Luigi Grillo, che mi è sempre stato molto vicino, e poi a Gnutti, con cui avevo partecipazioni incrociate. Gnutti era sua volta in grado di mobilitare risorse ed energie per la realizzazione dell’impresa». Siamo a un passo dal concerto che però inizierà qualche mese più tardi, a fine 2004.
E Fazio? «Fazio - è la verità di Fiorani - ha sempre saputo tutto». O meglio: «Io lo incontravo tutte le settimane e lo informavo di tutto». Fu proprio Fazio, già a settembre 2004, a spiegargli che i potenziali rivali di Abn Amro non si sarebbero mai impadroniti di Antonveneta: «Il direttore finanziario di Bpi Gianfranco Boni era perplesso perché il nostro disegno ci avrebbe messo in urto con gli olandesi, ma Fazio mi garantì che mai avrebbe permesso agli olandesi di superare la soglia del 15 per cento». Il 10 agosto Fiorani andò in Sardegna e alla presenza di Luigi Grillo e Cesare Previti tratteggiò il progetto a Berlusconi: «Il premier mi diede un assenso di massima, ma aggiunse: “Purché Fazio sia d’accordo”». E Fazio stravedeva per la Banca Popolare Italiana: quando, in seguito, gli olandesi lanciarono l’Opa, lui la prese come «un affronto assoluto». A dicembre 2004 gli alleati - i bresciani, i lodigiani, i Ricucci e via elencando - cominciarono a rastrellare le azioni.

Il patto di sindacato di Antonveneta andò in pezzi: «Fu la mia vittoria, ma fu una vittoria di Pirro. In questa vicenda ho perso tutto». Sospira, per un attimo accarezza, curvo sui ricordi, quel giocattolo rotto: «Se non ci avesse fermato la Procura...». Prossima puntata lunedì.

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