Fiorani in cella guardato a vista: «Devo capire»

L’ex potente ora è guardato a vista. Gianpiero Fiorani condivide la cella con un ragazzo meridionale. Fuori, in corridoio un agente è di vedetta e lo sorveglia minuto per minuto osservando quel che avviene dietro le sbarre. L’ordine è chiaro: bisogna vigilare per tutelare l’incolumità del prigioniero. Il nome di Gabriele Cagliari, morto suicida infilando la testa in un sacchetto di plastica, è una ferita non ancora rimarginata. San Vittore è un carcere e nei penitenziari ci si abitua a tutto, ma la direzione vuol essere all’altezza di un compito così difficile.
Sono le 19.30 quando la «sentinella», seduta strategicamente a due-tre metri dalla porta della cella, vede arrivare un esponente milanese del centrosinistra. È un politico attrezzato: conosce bene San Vittore, lo frequenta, ma preferisce, davanti all’opinione pubblica, l’ombra dell’anonimato. Un breve saluto, poi il consigliere regionale entra nella stanza spartana in cui ora è rinchiuso l’ex patron della Banca Popolare di Lodi. Fiorani indossa un cardigan color crema, camicia e pantaloni marroni di velluto a coste. «Le dispiace se parliamo insieme per qualche minuto?» «No, per carità».
Il ghiaccio è rotto. «Io - spiega al Giornale il politico - volevo verificare che non ci fosse il rischio di un nuovo caso Cagliari, ma mi è bastato uno sguardo per capire che, per fortuna, non corriamo questo pericolo». Gianpiero Fiorani è un uomo smarrito, provato, ma non disperato.
E non ha perso le buone maniere. Ringrazia subito per la visita inattesa e, forse, gradita. Aggiunge di non aver bisogno di nulla. La cella, ingentilita solo dai disegni di alcuni detenuti, è all’interno del centro clinico. L’ex numero uno della Popolare di Lodi è stato portato lì, probabilmente perché quell’ambiente è più controllabile. Non è malato ed è in isolamento anche se, paradosso, quella è una cella per due. «Mi sta aiutando molto - dice Fiorani indicando il suo compagno di sventura - mi spiega come vanno le cose qui».
Il visitatore insiste, vuol sapere se può rendersi utile procurandogli un libro, un oggetto, qualcosa. No grazie - è la risposta - non ho bisogno di nulla, il personale è gentilissimo. In questo momento - ribadisce - non mi serve nulla. Sto cercando di capire, di farmi una ragione di quanto sta succedendo».
Fiorani è in una posizione di attesa, in vista dell’interrogatorio previsto per venerdì. Il resto, almeno in questo momento, non conta. Del resto non può leggere i giornali né vedere la tv. I contatti col mondo esterno sono aboliti. La lunga giornata, la prima trascorsa a San Vittore, ha seguito il percorso canonico studiato per le matricole: l’incontro con lo psicologo, anzitutto; poi, forse, quello con il cappellano: «Non so - spiega il consigliere regionale - se si sia confidato con il sacerdote, anche se è molto religioso». Coincidenza, quasi di fronte alla cella c’è una cappellina frequentata dai malati. Se vuole, Fiorani sa dove cercare conforto.
Dieci minuti e il colloquio è finito.

I due si salutano, il politico stringe anche la mano dell’altro detenuto. «Siamo rimasti d’accordo che tornerò a trovarlo ancora. Mi sembra gli abbia fatto piacere parlare un po’». L’ex potente sembra tranquillo. Fuori, però, l’agente è sempre al suo posto.
Non si sa mai.

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