«Il fisco che vuole l’Unione danneggia tutti i lavoratori»

Il viceministro Vegas: «La sola riduzione del costo del lavoro aiuta le imprese, ma non la domanda. Serve tagliare tasse e spese. L’imposta sulle rendite? Si rischia la fuga verso altri mercati»

Antonio Signorini

da Roma

Alzare la pressione fiscale sui cittadini non è utile. Nemmeno se le risorse liberate venissero impiegate per ridurre il costo del lavoro. Senza contare che sarebbe una precisa politica «redistributiva», molto diversa rispetto a quelle tradizionali della sinistra perché «a favore delle imprese e a danno dei lavoratori». Il viceministro dell’Economia Giuseppe Vegas non è convinto dalla proposta della sinistra di cancellare il secondo modulo della riforma fiscale. E teme anche l’altra proposta forte dell’Unione: un aggravio delle imposte sulle rendite finanziarie. Prima di votare a sinistra – conclude - «è meglio che gli italiani facciano attenzione».
È vero, come sostengono i Ds, che una riduzione del cuneo fiscale a favore delle imprese è più efficace del taglio alle imposte di tutti i cittadini?
«In Italia c’è sicuramente un problema di produttività e la soluzione si può sicuramente perseguire con una diminuzione del costo del lavoro. Noi lo abbiamo fatto e abbiamo ben presente il fatto che più consistente è il taglio del costo del lavoro migliore è il risultato. Però bisogna prendere in considerazione alcuni problemi. Il costo del lavoro è importante ma è importante anche la domanda interna, non possiamo deprimerla con una politica fiscale inadeguata. La realtà è che se vogliamo ridurre il costo del lavoro l’unico modo è quello di ridurre la spesa pubblica altrimenti rischiamo di ottenere un effetto neutro».
Quindi il massimo rischio, se la sinistra aumenterà veramente le tasse, sarà un effetto neutro?
«No. Se si aumentano le imposte per favorire esclusivamente un taglio del costo del lavoro facciamo una politica di redistribuzione a favore delle imprese, a danno dei lavoratori».
Forse la sinistra cerca un effetto volano, vuole ripartire dalle imprese per poi portare benefici ai cittadini...
«Se si vuole rilanciare la produttività, incidere sul costo del lavoro non basta. Bisogna far crescere gli investimenti e la ricerca. Quindi, ancora una volta bisogna tagliare la spesa corrente».
La Casa delle libertà è ancora convinta che la strada da percorrere sia quella dei tagli alle tasse?
«Veramente è tutta l’Europa che sta andando in questa direzione; lo ha fatto la Francia, la Germania e soprattutto lo stanno facendo i nuovi Paesi membri dell’Unione europea che stanno adottando la flat tax. Con un’unica imposta molto bassa diventano pericolosi concorrenti e se non rispondiamo, nei limiti delle nostre possibilità, rischiamo conseguenze pericolose per la nostra economia».
Le sembra credibile che la sinistra adotti una politica thatcheriana, con tagli alle spese e alle tasse?
«È lecito che ogni partito abbia la sua posizione ma bisogna stare comunque attenti. Non si possono abbandonare da un giorno all’altro delle politiche economiche. Anche la sinistra quando era al governo aveva avviato una politica di riduzioni fiscali e poi noi abbiamo continuato. Se l’Italia dovesse all’improvviso cambiare direzione diventerebbe un segnale pericoloso per i mercati. Rischieremmo di apparire inaffidabili».
È anche difficile chiedere allo schieramento opposto al vostro di non cambiare niente...
«A me sembra piuttosto che non abbia senso questa logica del centrosinistra di voler a ogni costo punire il centrodestra, anche a costo di penalizzare gli italiani. Cancellare il secondo modulo della riforma fiscale, reintrodurre le imposte sulla successione e alzare quelle sulle rendite finanziarie significa fare una politica della vendetta che non serve a nessuno».
Sulle rendite finanziarie, però, il nostro sistema è anomalo rispetto a quello degli altri Paesi. Anche settori della Casa delle libertà tifano per l’armonizzazione...
«Prima di tutto non è vero che in tutta Europa le aliquote sono più alte. In Inghilterra, ad esempio, il livello di tassazione è più basso. E se noi lo alziamo rischiamo di determinare una fuga verso altri mercati finanziari. Capisco il problema etico, ma bisogna misurarsi con la realtà».
Nuove tasse sulle rendite finanziarie non significa anche nuove entrate nelle casse dello Stato?
«Se tassiamo solo il flusso (cioè le rendite finanziarie future, ndr) senza toccare lo stock (cioè le rendite finanziarie già in essere, ndr) ricaviamo pochissimo. Ma se tassiamo anche lo stock rompiamo il patto che c’è fra lo Stato e il contribuente. E poi, per non avere due regimi fiscali diversi difficilmente giustificabili, saremmo costretti a farlo anche su Bot e Cct, colpendo la classe media e i piccoli risparmiatori. E si innescherebbero ulteriori effetti perversi».
Cioè?
«Visto che i titoli di Stato sarebbero tassati saremmo costretti a compensare alzando i tassi e quindi aumenterebbe il costo del servizio del debito pubblico.

Un altro effetto perverso è che daremmo un segnale sbagliato ai mercati: i tassi si alzano quando diminuisce il rating su un Paese quindi l’Italia apparirebbe poco affidabile. Poi, alzando i tassi indurremmo chi presta i soldi ad alzarli a sua volta...».
Insomma, una reazione a catena...
«Forse è meglio che questa volta siano i cittadini a fare attenzione alle loro scelte...».

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