Con il fisco «spia-conti» anche le banche dovranno pagare dazio

Con il fisco «spia-conti» anche le banche dovranno pagare dazio

di Francesco Forte

La lettura del testo del decreto Monti, finalmente disponibile nella versione ufficiale, mi convince che non si tratta di un decreto di centro destra liberale, ma di un decreto di destra illiberale, con concessioni alla sinistra paracomunista particolarmente nella sua parte fiscale, inutilmente vessatoria. Insomma la tecnocrazia del «grande fratello» di Orwell. Soprattutto colpisce l’assurdità del combinato disposto tra l’articolo 11, secondo comma, riguardante la cosiddetta emersione della base imponibile, che obbliga gli operatori finanziari a comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria le movimentazioni dei conti correnti e ogni informazione relativa a essi utili, e il comma 2 lettera c) dell’articolo successivo, che per attuare la modernizzazione degli strumenti di pagamento della Pubblica amministrazione stabilisce che lo stipendio, la pensione e i compensi, comunque corrisposti in via continuativa a prestatori d’opera, e ogni altro emolumento superiore a 500 euro, debbono essere erogati con strumenti diversi dal contante. In altre parole, questo «grande fratello» fiscale e bancario obbliga tutti i pensionati e disoccupati con assegni da 500 euro in su (anche se il limite potrebbe salire) a dotarsi di un conto corrente. E, simultaneamente, c’è l’obbligo per le banche di inviare al fisco la movimentazione dei conti correnti di ogni soggetto. Da un lato le banche avranno qualche milione in più di conti correnti di soggetti a basso reddito, dall’altro perderanno una rilevante quantità di depositi bancari di operatori economici e di privati cittadini che non vogliono far sapere al fisco i loro affari. C’è una contraddizione incomprensibile tra la norma sulla tracciabilità che riguarda i pensionati e i disoccupati, e quella generale sulla tracciabilità dei pagamenti, che in linea generale si riferisce a quelli sopra i mille euro.
Non si capisce proprio a che cosa serva obbligare i non abbienti a farsi un conto corrente, in relazione a pensioni di 500-800 euro quando, in generale, è possibile pagare in contanti sino a 1.000 euro. E poi, l’Inps, che incorporerà anche l'Inpdap (l’Ente delle pensioni del pubblico impiego) che paga le pensioni, non ha già l'anagrafe di coloro che le percepiscono? Che cosa si vuol sapere dai conti dei pensionati a basso reddito? E non c’è una violazione palese della norma sulla parità di trattamento, riguardante la tracciabilità? Sembra di capire che come nella famosa «Fattoria degli animali» di George Orwell, c’è qualcuno che è meno eguale degli altri. Ma, soprattutto, a me pare completamente errata l’impostazione, riguardante l’eliminazione del segreto bancario, per fini fiscali. Infatti, il fisco con le nuove regole avrà una enorme massa di dati bancari a propria disposizione che non riguardano solo le operazioni delle imprese, e dei lavoratori autonomi, relative ai loro costi e ricavi, ma qualsiasi loro attività personale privata. E in aggiunta, il fisco potrà guardare, se vuole, anche tutti i conti correnti dei milioni di cittadini italiani che non svolgono alcuna attività d’impresa o lavoro autonomo, ma che sono operai e impiegati e che, nel loro conto, hanno solo spese di natura privata e personale.
Su questa enorme massa d’informazioni, il fisco potrà operare con assoluta discrezionalità, ma dubito che riuscirà a fare un lavoro sistematico, perché si tratta di conti bancari di natura eterogenea. Sarebbe molto più semplice e logico che si stabilisse che i contribuenti con partita Iva debbano tenere un conto fiscale Iva, in cui entrano tutte le operazioni rilevanti per l’Iva sugli acquisti e sulle vendite, e nessun'altra operazione. In questo modo, il fisco potrebbe collegare tra di loro le varie partite Iva. Con i costi degli uni che sono i ricavi degli altri, sino alle vendite al consumo, per le quali vale la verifica sopra i 1.000 euro, dovuta all’obbligo di pagamento con strumenti diversi dal contante. Per il resto, ciascuno dovrebbe essere libero di tenere il proprio conto corrente, con il diritto al segreto, sui suoi movimenti. Nella concezione dello Stato democratico ispirato ai principi di libertà, in cui esso è conforme al sistema di mercato, i cittadini non sono sottoposti al fisco, ma hanno con essi una sorta di contratto che li mette con esso sul piede di parità.

Come ha scritto Cesare Beccaria, il cittadino cede allo Stato quel tanto di libertà, che è necessaria, per mantenere la propria. Non dev’essere soggetto alla vessazione inquisitoria. E il fisco non deve avere poteri discrezionali. Solo procedendo così, lo Stato può pensare che le persone normali sentano il dovere fiscale come un dovere civico.

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