Centinaia di dipendenti Alitalia, molti dellAir One, assistenti di volo precari e precari del call-center. Al centro dellarea tecnica cè la protesta di chi lavora per la compagnia di bandiera e per il vettore di Carlo Toto, intorno laeroporto con i suoi decolli e i suoi atterraggi, una macchina che continua a girare come se nulla fosse. Ma sulla giornata più calda di Fiumicino si abbatte come un fulmine la notizia che arriva da Milano: il Cai ritira lofferta. E il commissario dellAlitalia, Augusto Fantozzi, indica la via del fallimento come la più probabile. Eppure latmosfera tra chi affolla il presidio è surreale, quasi quanto il contrasto con i banchi delle partenze dove sembra un giorno come tutti gli altri. Fuori la notizia più temuta viene invece accolta da applausi e slogan: «Meglio falliti che in mano a sti banditi». È davvero meglio così o questo è il ballo nei saloni del Titanic che affonda?
In realtà tra i lavoratori di Alitalia in molti sperano ancora che per la compagnia di bandiera non sia detta lultima parola. Che si possa riaprire il tavolo con la Cai, ridiscutendo «soprattutto alcuni punti relativi ai salari sui quali è fondamentale elasticità», sospira passandosi le dita nella barba grigia un comandante, rappresentante della categoria, quella dei piloti, che forse più delle altre ha puntato i piedi contro la firma sullaccordo. Altri confidano che si possa trovare un nuovo possibile acquirente. «Alle stesse condizioni offerte alla Cai, siamo certi che molte grandi compagnie straniere si farebbero avanti», spiega un gruppo di giovani assistenti di volo, appena assunti dopo anni di precariato. Ma al bar lì accanto gli occhi lucidi di una hostess che dopo aver passato due ore al presidio si prepara a salire con lequipaggio sul suo volo mostra che i timori sul futuro ci sono eccome. Anche perché, se in tanti sparano a zero sulla «cordata» italiana e sul governo, sono molti anche quelli perplessi con il comportamento dei sindacati. «Qui in assemblea cè una rappresentanza della forza lavoro della compagnia, centinaia di persone che non vogliono essere le sole a pagare il prezzo di una crisi che ha le sue radici in decenni di cattiva gestione», spiega Paola, hostess. «Ma tanti di noi - continua - non hanno tessere sindacali in tasca. Difficile fidarsi delle organizzazioni di categoria quando per anni campi da stagionale e far valere i tuoi diritti sembra unutopia». La rabbia e la preoccupazione di chi vede in bilico il suo futuro occupazionale è comprensibile, lo è un po meno lappello allennesimo «salvagente» di Stato che parte da un megafono, quando il rappresentante di un sindacato chiede alla mano pubblica di «risanare», ancora una volta. Storia già sentita, un vortice di soldi volati via anno dopo anno per trovarsi più in crisi che mai. Ma che questa sia la fine di unazienda chiave per il Paese è difficile da mandare giù. Intanto della vicenda si occupa anche Gianni Alemanno.
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