Luca Cordero di Montezemolo è già un leader per tutte le stagioni. Non ha fatto in tempo a spogliarsi da papa straniero, quel vestito che il Pd gli sta cucendo addosso, e subito si ritrova benedetto da Bocchino come leader della vera destra. Questa è una stagione di trasformismi.
Non è colpa di Montezemolo, sta di fatto che, qui e là, c’è parecchia gente che vuole mettergli il cappello in testa. Tocca a lui non inchinarsi a questo gioco e far capire che fa, dove va, se va. Qui si può solo raccontare quello che sta accadendo. L’uomo Ferrari fa sapere che trova ridicolo essere candidato ogni giorno da una coalizione diversa. «Mai incontrato Bocchino o Bettini. Leggo che Italia Oggi mi mette in corsa anche per la poltrona di sindaco di Roma. Paradossale». La risposta a questo punto è chiara. La notizia invece è che Fini e i finiani sono alla ricerca di un leader.
L’idea non la butta lì un peones distratto, ma il vice di Fini. Bocchino va a Un giorno da pecora, trasmissione di Radio2, e qui pensa ai titoli del giorno dopo sui quotidiani. Cosa si può dire di nuovo ed eclatante? Cose così. «Noi terzo polo? No, il nostro sarà il vero centrodestra, uguale a quello che c’è in Germania, Francia e Inghilterra. Una forza politica costituita da vari soggetti: Fini, Casini, Lombardo. Noi saremo diversi dal centrodestra populista di Berlusconi e Bossi». Ma chi potrebbe essere il leader di questa nuova alleanza? Qui tutti si aspettano che il vice di Fini risponda Fini. E invece no. Bocchino fa il vago. Vediamo. Magari questo. Magari quello. Magari uno nuovo. Magari Montezemolo. Eccolo. Montezemolo si ritrova tirato a destra, la vera destra.
Le fughe in avanti di Bocchino fanno venire di nuovo il mal di stomaco ai moderati del Fli, che si sono ritrovati all’ombra dell’onorevole napoletano, costretti a inseguire le sue derapate. Montezemolo? Montezemolo? Davvero ha detto Montezemolo? Menia, Moffa e Viespoli sgranano gli occhi: «E perché non Fernando Alonso? Almeno lui di vittorie se ne intende». Il ministro Ronchi si associa e applaude. Bocchino si stupisce dello stupore: «Non capisco. Ho risposto che Montezemolo potrebbe essere un’opzione. Nulla di più di quanto gli italiani già sanno». La verità è che nel Fli non si sopportano già più. Si accapigliano tutti i giorni e questa è la prova che stanno diventando veramente di sinistra. Anche i finiani vanno alla ricerca di un papa straniero.
La giornata è ricca di segnali. Mentre Bocchino prenota per il suo capo un’altra poltrona da numero due, Fini cerca di capire cosa fare per non restare prigioniero delle sue scelte. Ha lasciato il Pdl. Ha la sua truppa, malmostosa, di federali. Sta cercando di immaginare un partito. Solo che ha un problema. Gli aruspici dei sondaggi sono pessimisti. Fini se va alle elezioni subito rischia di affogare sotto la soglia di sbarramento. Questo significa che deve prendere tempo e cambiare le regole del gioco. Quello di cui ha bisogno è far saltare Berlusconi, scommettere su un governo tecnico, lavorare per convincere gli italiani della sua buona fede e riscrivere la legge elettorale. È una fatica, ma è quello su cui si sta impegnando in questi giorni. La prima mossa è mettere pressione a Berlusconi. Non è un caso che è tornato a colpirlo su giustizia e conflitto d’interessi. Ieri Caffeina, la rivista di Filippo Rossi, e Current tv hanno organizzato un incontro su libertà di stampa e conflitto d’interessi sulla terrazza di palazzo Grazioli, sul tetto del nemico. C’erano Lucia Annunziata, Flavia Perina, Caterina Soffici e Antonio Padellaro. Il più moderato era il direttore del Fatto.
L’altra mossa è accelerare e controllare la riforma elettorale. Fini ha scritto una lettera a Schifani per strappare alla commissione Affari Costituzionali del Senato la questione. Il testo è questo: «Alla luce del significativo carico di lavoro che grava attualmente sulla commissione del Senato e, coerentemente con lo spirito dell’intesa già assunta all’inizio della legislatura, la priorità della trattazione della materia elettorale, non limitata alla sola legge per l’elezione del Parlamento europeo, ma comprensiva anche delle iniziative riferite alla legge elettorale nazionale, possa essere riservata alla Camera». Vero. Il burocratese è faticoso. Ma Fini vuol dire che non si accontenta di gestire le modifiche al voto europeo, ma vuole anche la riforma elettorale italiana. Il presidente della Camera in pratica sta facendo gli interessi del suo partito.
Il bello, come fanno notare nel Pdl, è che l’accordo del 2008, quello appunto di inizio legislatura, siglato da Fini e Schifani diceva un’altra cosa. La Camera si occupa in prima lettura della legge elettorale europea, il Senato di quella italiana. Il signor super partes si sta facendo gli affari suoi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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