Cronaca locale

Fogar, l’ultimo viaggio per rivedere la sua città

L’esploratore è morto nella sua casa poche ore dopo il rientro dalla vacanza a Bognanco. Il cordoglio dei milanesi: la proposta della medaglia d’oro

Andrea Fontana

«Si presentò un ragazzo dicendo di voler fare l’Ostar, la traversata dell’Atlantico in solitario». Alla Lega Navale di Milano se lo ricordano bene quel giovane, poco più che ventenne, di nome Ambrogio Fogar. La passione per il mare l’aveva già rapito, ma la prima impresa, da Plymouth sulla costa atlantica inglese a Newport negli Stati Uniti, doveva avere i colori della sua città, dove il padre triestino era emigrato e in cui Ambrogio era nato, con un cognome che tradiva le sue origini, ma con un nome di battesimo che più milanese non si poteva. Era il 1972.
«Aveva comprato una barca e gareggiò con i nostri colori, ma dopo due miglia perse il timone - ricorda uno degli amici della Lega Navale -. Ma in America arrivò lo stesso, pur piazzandosi tra gli ultimi: lì venne fuori lo spirito dell’avventura».
L’avventura è finita ieri nelle prime ore della notte in via Crescenzago dove Fogar viveva da circa tre anni in una casa messagli a disposizione dall’amico Gianpiero Gandolfo, fotoreporter in decine di viaggi al limite. E nella sua residenza alla periferia est della città, era tornato martedì, un giorno prima del previsto, dalla consueta vacanza di Bognanco, nelle valli ossolane, dove aveva festeggiato il suo 64° compleanno. Nessun motivo particolare per il ritorno anticipato, spiegano i familiari: forse solo l’ultimo appuntamento con la Milano che aveva nel cuore.
Come aveva dimostrato nel ’74 di ritorno dal giro del mondo in solitario: quando temporeggiò in mare per qualche giorno pur di attraccare proprio nella ricorrenza di Sant’Ambrogio a Castiglion della Pescaia davanti a migliaia di persone arrivate al porto per festeggiare l’impresa. Ma da Milano, dove è stato costretto dopo l’incidente in Turkmenistan, dove non poteva far altro che guardare dal letto il soffitto «nuvole» della sua stanza, Fogar era di nuovo pronto a partire. Destinazione Cina per sottoporsi alle cure sperimentali del neurochirurgo Huang Hoyung: «Era nei suoi programmi e nei suoi sogni - conferma il suo procuratore Lucianno Daffarra -. Con questa cura sperava di riprendere a respirare da solo e di recuperare un po’ di movimento».
Per un «avventuriero» come Fogar, il sogno vero era provare ancora l’emozione del mare: tornare a navigare come nel ’97 nel Giro d’Italia in barca a vela per raccogliere fondi a favore dei mielolesi come lui. «Stare sulla barca non è stato facile dal punto di vista fisico - ricorda Dario Caldiroli, l’anestesista rianimatore dell’Istituto Carlo Besta che lo ha seguito in questi anni -, ma sulla tolda Ambrogio era libero, non era più in quel corpo di marmo, come lo chiamava lui: era veramente fuori del suo corpo».
Un ultimo giro, insomma, per poi tornare sotto la Madonnina. In quella città che lo saluterà venerdì nella basilica di Sant’Ambrogio «dove ci teneva a tornare» dice Henry, l’assistente ecuadoriano che gli è stato al fianco negli ultimi cinque anni.

E forse, a trent’anni da quell’arrivo a Castiglion della Pescaia, Fogar avrà un altro Sant’Ambrogio tutto per lui: il vicesindaco Riccardo De Corato ha proposto per lui la medaglia d’oro, «massimo riconoscimento» della città assegnato proprio il 7 dicembre.

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