Foggia, la rivoluzione del rettore: «Basta ai corsi con tre studenti»

Stop ai corsi decentrati, basta con le lezioni sparpagliate qua e là per la provincia, a pochi chilometri dalla sede centrale. «E non si tratta solo di frenare gli sprechi, ma di razionalizzare la didattica», precisa il professor Giuliano Volpe, barese di Terlizzi, come il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, e da pochi giorni rettore dell’Università di Foggia. Subito dopo l’insediamento, il docente ha messo le cose in chiaro e ha annunciato il taglio dei corsi di laurea triennale in cinque centri della provincia: Cerignola, Lucera, Manfredonia, San Severo e San Giovanni Rotondo.
Rettore, con il suo programma sembra tramontata l’epoca di un’aula sotto ogni campanile.
«Per la verità qui potremmo parlare anche di pianerottolo più che di campanile».
In che senso?
«Nel senso che alcuni corsi sono in paesi che distano davvero pochi chilometri dall’ateneo».
E quindi?
«E quindi è tempo di cambiare».
In che modo?
«Tutto tornerà nella sede centrale».
Una scelta destinata a scatenare polemiche.
«Non credo. La mia non è una semplice decisione, ma una necessità».
Perché?
«È assolutamente necessario razionalizzare l’offerta didattica: non capisco per quale motivo si debba duplicare lo stesso corso».
Tanto più che non sono particolarmente frequentati.
«Ci sono anche lezioni con due, tre studenti. Senza contare vari casi paradossali».
Per esempio?
«In molte circostanze docenti e studenti si ritrovano sullo stesso pullman: invece di andare all’ateneo raggiungono tutti insieme la sede dei corsi decentrati».
Pendolari al contrario?
«Direi proprio di sì. La cosa più logica è che si parta dalla provincia per raggiungere la sede centrale. Tra l’altro diversi iscritti non vengono dai paesi dove si tengono le lezioni: per loro sarebbe molto più agevole recarsi a Foggia».
La sua decisione di invertire la rotta consentirà di mettere da parte risorse preziose?
«Sicuramente, anche se buona parte dell’investimento è a carico dei Comuni con i quali è stata stipulata una convenzione».
Quanto prevedete di risparmiare?
«Difficile fare una stima. Di certo un corso prevede tutta un’organizzazione che costa. Ma il punto non è solo questo».
A che altro fa riferimento?
«Alla questione didattica».
Può spiegarsi meglio?
«Una cosa è limitarsi a frequentare una lezione, un’altra cosa è respirare il clima universitario: e questo può avvenire solo nella sede centrale».
E invece nei paesi dove ci sono i corsi decentrati?
«Ovviamente non c’è la stessa situazione».
Perché?
«Tanto per cominciare non ci sono biblioteche né laboratori, ma soprattutto non c’è l’atmosfera di un ateneo: c’è un docente che svolge una lezione, ma non può finire tutto qui».
Però c’è chi si appella al legame col territorio.
«Ma l’obiettivo dell’università non è quello di mettere bandierine: così si corre il rischio di fabbricare solo dei licei».
Lei non ha perso tempo e ha subito annunciato il programma.
«Ne ho parlato nel corso di un’assemblea con docenti, studenti e anche rappresentanti del mondo politico: c’è stata una straordinaria partecipazione. Ho riscontrato un atteggiamento di grande modernità e comprensione».
Dovrà fare i conti con gli enti locali interessati, che coprono buona parte delle spese.
«È stata fissata una riunione con i sindaci. In ogni caso questo non vuol dire che la provincia sia destinata a essere trascurata dall’università. Al contrario, i piccoli centri sono una risorsa e possono essere molto utili».
In che modo?
«Potrebbero essere le sedi ideali per gli approfondimenti».
Quale sarebbe la differenza rispetto alla situazione attuale?
«La formazione di base rimarrebbe all’ateneo, mentre si potrebbero organizzare master decentrati a numero chiuso e varie attività post laurea».
Per esempio?
«Penso ad attività sui beni culturali, sul turismo, sul paesaggio».


Ritiene di allargare i confini della sua proposta?
«Di certo intendo portare la questione all’attenzione del comitato universitario regionale».
Di questi tempi anche negli atenei pugliesi si respira un’aria tutt’altro che tranquilla.
«È giusto ascoltare e dialogare, ma personalmente sono favorevole alle forme civili di protesta e non alle occupazioni».

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