La folla insulta l’imputato e lui reagisce: «Ma vaff...»

nostro inviato a Como

Lo scacco matto non è ancora arrivato. Nessuno ha visto Olindo e Rosa uscire dalla palazzina di via Diaz prima delle 20.23, ora dell’arrivo dei soccorsi, mentre la deposizione del superteste Mario Frigerio è prevista per martedì 26. «Quel giorno il processo sarà chiuso», aveva detto nei giorni scorsi in tv il legale di Azouz, Roberto Tropenscovino. «È come se il processo fosse secondario, e la sentenza di condanna già scritta», risponde la difesa dei Romano. E così l’aula si trasforma in un ring, Enzo Pacia accusa il collega, mentre fuori la gente inveisce contro Olindo che risponde «ma vaff...». La corte esce per protesta: «Basta sceneggiate». Ma in un processo per quadruplice omicidio come quello per la strage di Erba ogni deposizione ha un valore, ogni frase pesa, è come una mina lanciata nel campo avversario in attesa di esplodere.
Casa Castagna. L’appartamento di Raffaella dopo il 2003 era frequentato da amici e parenti di Azouz Marzouk. Amici molto speciali se è vero, come ha rivelato ieri il padre Carlo, che in quell’indirizzo di via Diaz 25 risultavano domiciliati anche due immigrati. Forse un favore chiesto da Azouz, certo un assist per la tesi degli avvocati Bordeaux, Schembri e Pacia che puntano su colpevoli ancora non entrati in scena. E che forse si lega a una frase, pronunciata qualche giorno prima dell’11 dicembre, che la ex vicina di casa Daniela Messina attribuisce a Valeria Cherubini, una delle vittime della mattanza. «Vide nella palazzina due sconosciuti, era preoccupata». E ancora: «Mi riferirono che qualche minuto prima che morisse, Valeria aveva detto “stasera c’è più confusione del solito”». E che forse spiega il mazzo di chiavi di casa Castagna, trovato dai Ris di Parma sul luogo della strage, che nessuno dei familiari riconosce. E i rumori sentiti dal vicino di casa siriano già 100 minuti prima del delitto, alle 18.30. Forse.
Giallo sul guanto. Il guanto di lattice verde, ritrovato dai carabinieri della scientifica, non avrebbe niente a che fare col delitto. Il perché lo ha spiegato Carlo Castagna: «È un regalo che ho fatto al piccolo Youssef, non c’entra con la strage». I Ris da più di un anno cercavano risposte su quel guanto, come ha rivelato il Giornale a dicembre scorso, ma è la prima volta che Castagna ne parla. Gli esami avevano individuato Dna del piccolo sull’esterno del guanto, come se fosse stato indossato da uno degli aggressori, ma nessuna traccia biologica dei due imputati.
La detenzione di Azouz. Stando alla deposizione del tunisino, in carcere per una storia di droga e già graziato dall’indulto, quei mesi in cella non sono stati problematici. Ma le carte che il Giornale ha visionato raccontano un’altra storia. Azouz si sarebbe scontrato con due detenuti. «Battibecchi», «discussioni» sul calcio, ha detto ieri più volte in aula. Forse qualcosa in più, visti i quattro trasferimenti interni al carcere di Bassone, e i due «traslochi» negli istituti di Cremona e Opera chiesti con veemenza. E visto che persino il cugino di Azouz, Borhen Ben Amour Hamdi, detto Biscia, dopo un giorno passato nella stessa cella con lui aveva chiesto di cambiare aria. Tra i due non c’è stato alcuno screzio, ha assicurato Azouz. E senza risposta, per ora, resta il perché di quello strano sms di Raffaella, «mi sento insicura», ricevuto il 4 dicembre mentre Azouz era a Genova, direzione Tunisia. Per l’ennesima volta in pochi mesi.
Il mistero del camino.

C’erano degli attrezzi vicino al camino nell’appartamento di Raffaella, che lo stesso Castagna aveva regalato alla figlia, che sembrano scomparsi dalla scena del delitto. Su che fine abbiano fatto è buio pesto.
felice.manti@ilgiornale.it

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