Folle con 4 coltelli tenta di avvicinare il premier

Il Tartaglia dell’Est che s’è finto cieco a Palazzo Grazioli è un serbo cinquantaduenne fuori di testa. Nelle tasche, invece di un duomo d’alabastro, nascondeva quattro coltelli, cinque bulloni, tre sassi, una bic e una poesia. Un’ode a Berlusconi che l’aspirante aggressore arrestato mercoledì sera dai carabinieri in via del Plebiscito - residenza romana del premier - avrebbe voluto consegnare personalmente, brevi manu, al padrone di casa. Purtroppo per lui la recita da non vedente con rayban scuro e bastone bianco è miseramente fallita allorché, con scatto felino, il teppista-fan di Berlusconi ha schivato un operatore televisivo che lo stava per investire con la telecamera a spalla. Il tempo di capire quant’era stato fesso e l’orbo originario dell’ex Jugoslavia s’è ritrovato addosso i carabinieri del nucleo radiomobile: «Non sto facendo niente di male - le sue prime parole - voglio solo consegnare al presidente del Consiglio una poesia che ho scritto per lui». Certo, come no. «No, è vero, è vero. Eccola qua». Quattro strofe, due quartine e due terzine. In stampatello. Frasi senza senso, versi in libertà. In italiano, e parole in serbo. «Si fa preghiera muta, sembra notte, e cuori, strappa, dolore perché distacchi (incompr.) feritta che è aperta, per tutta la vita! Cuori, stracolmi, nel parole, zitti, esce solo. “Guardati, proteggiti, anime urlanti”...». Sequestrata l’incomprensibile elegia, l’uomo è stato preso e allontanato dal capannello di giornalisti che stazionava davanti l’ingresso di Palazzo Grazioli. A forza di fargli domande i militari sono prima riusciti a risalire alla macchina (risultata rubata) che il «non vedente» senza fissa dimora utilizzava come camera da letto vicino Porta Portese, dirimpetto al Tevere. Poi hanno scovato due suoi connazionali, di 29 e 31 anni, che alla vista di una pattuglia di carabinieri hanno raccontato tutto quel che sapevano su questo strano personaggio, che in un recente passato aveva parlato a lungo di Silvio Berlusconi senza dare però l’idea di voler replicare il gesto di piazza Duomo per colpire nuovamente il capo del governo. A forza di indagare fra amici e conoscenti gli inquirenti sono risaliti al suo vero nome e alle precedenti imprese: dai terminali è uscito fuori un trascorso a tema. Una denuncia per porto abusivo di arma da taglio. Il coltello, stando agli amici, era la vera passione del Tartaglia dell’Est. Non se ne separava mai. Il possesso di ben cinque lame affilate e di svariati bulloni, però, lascia presupporre che nella testa dell’uomo possa aver effettivamente albergato l’idea di un’aggressione ravvicinata al premier all’uscita da Palazzo Grazioli. Per questo motivo la palla è passata alla Procura di Roma. Il «poeta» di Sarajevo è stato sottoposto a fermo di polizia giudiziaria per ricettazione (causa l’auto rubata) denunciato per il possesso dei coltelli e immediatamente trasferito nella casa circondariale di Regina Coeli.
E mentre il rinforzato cordone di sicurezza intorno al premier ha dato riscontri d’efficienza alla prima potenziale «minaccia», in Procura è atterrato un inquietante contenzioso fra un alto dirigente della polizia - responsabile dell’ordine pubblico in occasione della visita di Napolitano alla mostra di Giacomo Balla all’Ara Pacis del 3 dicembre 2009 (quindi prima dell’aggressione a Berlusconi a Milano) - e due responsabili della «Sovrintendenza centrale dei servizi di sicurezza della presidenza della Repubblica». Motivo del contendere? La presenza, sgradita, di carabinieri e poliziotti in divisa a tutela del Presidente. «Nonostante l’apposita ordinanza del questore fosse finalizzata a predisporre adeguate misure di sicurezza per garantire e tutelare l’incolumità del capo dello Stato - si legge nella relazione al magistrato - terminata l’attività di posizionamento delle forze dell’ordine, si materializzavano due funzionari della Sovrintendenza Centrale che segnalavano al sottoscritto come il presidente della Repubblica non gradiva la “vista delle divise”» per cui chi indossava una divisa era pregato di sloggiare.

La singolare richiesta per esigenze estetiche non veniva giustamente accolta dal funzionario di polizia nemmeno quando un terzo dirigente della sicurezza del Viminale s’intrometteva a brutto muso: «Il presidente non gradisce personale in divisa, per cui sposta gli agenti». Niente da fare. Gli agenti sono rimasti dov’erano, lo scambio d’opinioni è finito in Procura.

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