Folle proposta Pd: pensioni gratis persino a sindaci e assessori

RomaIn un periodo di vacche magre, tra i quasi mille parlamentari c’è chi si danna per spremere, comunque, la mammella dello Stato. È il caso di tre onorevoli targati piddì, Marialuisa Gnecchi, Oriano Giovanelli, Lucia Codurelli. I quali, scartabellando tra le vagonate di leggi, hanno trovato una falla nei sacrosanti diritti della Casta. A quei poveri amministratori pubblici degli enti locali, dal micro comune alla vasta provincia, chi paga i contributi se non hanno altro lavoro oltre quello di assessore o sindaco o presidente di Provincia? Nessuno. Orrore, si corra ai ripari.
Così, a novembre del 2009, i tre parlamentari del Pd hanno presentato in commissione bilancio di Montecitorio una leggina per garantire la futura pensione a una sfilza di amministratori pubblici, oggi priva di contributi previdenziali. Una proposta che dovrebbe costare al contribuente qualcosa come 40 milioni di euro l’anno, secondo una stima della ragioneria dello Stato. Decisamente troppo e, visto che non c’è la copertura finanziaria, il tentativo di allargare la coperta dei diritti farà senz’altro flop. Arduo, inoltre, stabilire con certezza la platea cui si rivolge il provvedimento visto che non è semplice individuare la mappa precisa degli amministratori che come unico datore di lavoro hanno l’ente pubblico. Molto spesso, infatti, i nostri eletti sono lavoratori dipendenti in aspettativa o lavoratori autonomi per cui hanno chi paga, o pagano da sé, contributi previdenziali per garantirsi la futura pensione. Ma gli altri? Vale a dire gli amministratori di professione? Nisba. Così i tre parlamentari hanno pensato di garantire serena vecchiaia a «sindaci, anche metropolitani, presidenti delle province, consiglieri dei comuni anche metropolitani e delle province, componenti delle giunte comunali, metropolitane e provinciali, presidenti dei consigli comunali, metropolitani e provinciali, presidenti, consiglieri e assessori delle comunità montane, componenti degli organi delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, nonché componenti degli organi di decentramento» e che paghi Pantalone.
Insomma, la nostra classe politica, mentre con la mano destra fa di conto per preparare una manovra lacrime e sangue, tagliare sprechi e contenere spese, con la sinistra lavora per estendere diritti, coperture e tutele a se stessa. Nel merito della proposta di legge la cofirmataria della bozza, la bolzanina Marialuisa Gnecchi, difende a spada tratta il suo testo: «È una legge sacrosanta, sa-cro-san-ta. Di fatto è come se le amministrazioni facessero lavorare gli eletti in nero». Non la pensa così la leghista Paola Goisis che, terra terra le risponde per le rime: «Non ti sembra che vadano spesi un po’ meglio i soldi dei contribuenti?». Più tecnico il giudizio di Massimiliano Fedriga, Carroccio pure lui e membro della commissione Lavoro: «In linea di principio si potrebbe anche essere d’accordo ma è chiaro che in un momento come questo la proposta non può essere accolta».

Stessa tesi del pidiellino Antonino Foti: «Sul piano concettuale è giusto che l’eletto che lavora, magari per più mandati, all’interno di un’amministrazione pubblica abbia garantiti i contributi previdenziali. Certo, però, la spesa è alta. Troppo alta. E non se ne farà nulla». Per ora.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica