Politica

Fondamentalisti del tuttavia

Dopo aver incantato la sinistra con la fuga a gambe levate dall'Irak, i matrimoni gay e la confusione tra animali e uomini, dopo aver snobbato le messe del Papa e ispirato i film della Guzzanti, i libri della Feltrinelli e le canzoncine di Maurizio Crozza, Zapatero ha realizzato la sua ultima impresa: si è presentato a un incontro fra palestinesi e israeliani indossando la kefiah. Che è un po' come scendere in campo durante una partita della Juventus telefonando a Moggi. O, peggio, è come entrare vestiti di rosso nell'arena senza avvertire il torero, come cantare l'inno d'Italia in casa di Zidane o come sventolare il fascio littorio in una riunione di partigiani. In altre parole, una pirlata di proporzioni internazionali.
La foto che campeggia sulle prime pagine di tutti i giornali spagnoli ha scatenato ovvie polemiche. Gli ebrei, «profondamente indignati», hanno accusato Zapatero di essere antisionista e antisemita, il Partito popolare ha parlato di «fobia anti israeliana», molti commentatori si sono chiesti se l'immagine «infelice» non potesse gettare le basi per una «grave crisi diplomatica» con Gerusalemme e soprattutto se valesse la pena correre questo rischio per inseguire «un pugno di voti dell'ultrasinistra». Zapatero non ha risposto. Probabilmente era troppo impegnato a stirare la kefiah.
Che ci volete fare? Quando un indumento è utile, bisogna sempre tenerlo a portata di mano. Pronto all'uso. Lo sanno bene i campioni della sinistra italiana che non a caso hanno eletto Zapatero a idolo indiscusso. I nostri, in effetti, anche quando non si presentano in passerella con il capo più alla moda della collezione estiva 2006, state sicuri, lo portano nel cuore. In fondo, siamo sinceri: la kefiah ancor prima che un pezzo di tessuto è un modo di ragionare. O forse meglio: di sragionare.
A guardare bene, del resto, anche D'Alema nei giorni scorsi ha indossato la kefiah per andare in Parlamento a recitare il ritornello contro la «reazione sproporzionata» di Israele. E indossano la kefiah tutti i giorni quelli che persino Amato, ministro del governo Prodi e esponente di spicco della sinistra, ha bollato come i fondamentalisti del «tuttavia»: perché, s'intende, «Israele ha diritto di esistere, tuttavia...», «Israele fa bene a difendersi, tuttavia...»». E ogni tuttavia, si sa, è rivestito con la kefiah. Non sentite? Fa anche rima.
Strano destino quello della bandana palestinese. I nipotini semprereduci del Sessantotto la portano in corteo, spesso senza nemmeno sapere quel che significa. Accidenti, quanto è chic: roba da radical Vogue. I loro fratelli maggiori, invece, ne conoscono benissimo i significati. Magari non la indossano fisicamente perché altrimenti il governo cade e la poltrona vacilla (l'auto blu, di conseguenza, pure). Però sono tutti lì, allineati e coperti come il capoccione di un mujaheddin pronto all'azione: avanti popolo alla riscossa, kefiah rossa la vincerà.
Non vestono in fondo la kefiah tutti i parlamentari dell'Unione che difendono e attingono voti in quei cortei in cui vengono bruciate le bandiere d'Israele? Non vestono la kefiah quegli esponenti della sinistra come Lidia Menapace che dicono: «Quando più i resistenti arabi vengono detti terroristi, più io sto con loro»? Non vestono la kefiah quei politici, come ancora il medesimo D'Alema, che non perdono occasione per difendere Hamas, organizzazione terroristica che punta alla distruzione di Israele? E non veste la kefiah Oliviero Diliberto che nel 2004 fece visita agli Hezbollah ed entrò nel bunker di Hassan Nasrallah, accolto con amicizia da quei miliziani che prendono ordini dall'Iran con lo scopo di spazzare via per sempre gli ebrei dal Medio Oriente?
E allora: viva Zapatero, come direbbe la Guzzanti. In fondo è sempre lo stesso film: lui la kefiah la mostra in una foto, i nostri la mostrano nella pratica. Ma in fondo che cambia? Viva Zapatero, viva la kefiah. Verrebbe voglia di dire: siate prudenti, cercate almeno di nasconderla.

Invece, chissà perché ci viene da dire: siate onesti, andate a nascondervi.

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