Fonsai al bivio dell’aumento Isvap, dubbi sul riassetto

Fonsai al bivio dell’aumento Isvap, dubbi sul riassetto

I vertici di Fonsai non hanno ancora completato la diagnosi ma, con ogni probabilità, il «ricostituente» che rimetterà in salute il gruppo sarà un altro aumento di capitale. Seppure allo stato non sia all’ordine del giorno del board atteso lunedì, la riunione dovrebbe essere l’occasione per una ricognizione tra le alternative sul tavolo. A partire dall’eventuale ricapitalizzazione che potrebbe scattare all’inizio del prossimo anno, magari con l’assemblea di bilancio, per ridare flessibilità finanziaria al gruppo Fonsai, accanto al lavoro di ristrutturazione avviato dal direttore generale Piergiorgio Peluso. Il 19 dicembre Fonsai (-4,3% in Borsa) uscirà dall’Ftse-Mib, il giorno seguente c’è un altro consiglio che potrebbe segnare un passo avanti. La tenuta dei margini sarebbe nel frattempo garantita dalle misure «tampone» in cantiere: l’affrancamento del goodwill (beneficio di 5 punti) e la cessione di due immobili per 100 milioni (1 punto). Abbastanza, secondo gli analisti, per portare a fine anno la solvency in area 105-110%, complice la ripresa dei bond in portafoglio. Resta poi da considerare l’offerta di Gavio per Igli che valorizzerebbe Impregilo oltre 3 euro per azione.
Pare invece in un vicolo cieco, il progetto di creare una scatola comune con il Credit Suisse in cui trasferire le partecipazioni finanziarie di Fonsai (come Mediobanca, Unicredit e Generali). Oggi l’ad Emanuele Erbetta presenterà lo scheletro dell’iniziativa all’Isvap, ma nei precedenti incontri tecnici sono emersi tutti i dubbi dell’Authority. Ieri sera Credit Suisse e il gruppo Ligresti continuavano comunque a studiare la soluzione per incastrare le esigenze legate al debito con quelle del controllo. Lo stop dell’Authority alla newco, peraltro guardata con freddezza dalle banche storiche di Fonsai, suonerebbe infatti come un invito a intervenire sul capitale. Considerando un livello iniziale vicino a 105%, secondo gli analisti, per spingere i margini verso il 120% promesso al mercato, servirebbero 350-400 milioni. In questo caso pare inevitabile una diluizione di Premafin, la holding dei Ligresti, dal 35% al 20% circa ma si potrebbe studiare un patto con un investitore istituzionale: tra i soci c’è Amber che però ha già una minusvalenza. Per evitare che il gruppo diventi «scalabile», le banche potrebbe ritirare «a fermo» i diritti dell’aumento. La premessa del riassetto appare però una severa ristrutturazione del gruppo e un taglio con il passato più netto di quanto non sia accaduto. La stessa logica con cui le banche creditrici stanno affrontando l’impasse finanziaria di Sinergia-Imco, le casseforti a monte di Premafin: davanti alla richiesta di nuova finanza per 30 milioni, gli istituti creditori hanno bocciato entrambe le strade proposte (vendita degli asset, compreso il 20% della holding o la liquidazione in bonis). Secondo alcuni non ha aiutato la trattativa, il fatto che Consob abbia scovato tra i soci Premafin un trust nascosto nel paradiso fiscale delle Bahamas con il 12%.

Le indagini proseguono per appurare se si tratti di un portage collegabile alla famiglia Ligresti. In questo caso l’Ingegnere di Paternò e i suoi figli avrebbero il 40-45% di Premafin anche se crollasse la struttura a monte.

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