Fonsai alla svolta: aumento da 750 milioni

Fonsai alla svolta: aumento da 750 milioni

Alberto Nagel (Mediobanca), Federico Ghizzoni (Unicredit) e Giancarlo Giannini (Isvap) obbligano Salvatore Ligresti al capitombolo che promette di strappare il controllo di Fonsai dalle mani della famiglia di origini siciliane (la quota di Premafin potrebbe diluirsi al 7-8%) relegandola ai margini di Piazza Affari. Questo pomeriggio alle ore 15, a meno di sorprese, il consiglio di amministrazione di Fonsai getterà le basi per un aumento di capitale monstre da 750 milioni, più del doppio dell’attuale capitalizzazione di Borsa (300 milioni circa). Sul tavolo del board c’è poi la cessione ai Gavio di Igli, la holding di Impregilo, ma anche su questo fronte si registra una aspra dialettica tra vecchio e nuovo corso.
La strada dell’aumento è invece tracciata e le ultime resistenze dei Ligresti vinte dopo che l’Isvap avrebbe imposto tempi strettissimi. L’operazione dovrebbe essere lanciata entro marzo e Mediobanca organizzerà il consorzio di garanzia: ieri a Roma l’ad di Fonsai Emanuele Erbetta ha esposto la struttura alla Consob, «scortato» dal direttore generale Piergiorgio Peluso (in collegamento da Milano). I 750 milioni che Fonsai chiederà al mercato sono molti di più dei 600 milioni «reclamati» da Piazzetta Cuccia, grande creditore della galassia Ligresti, e dovrebbero essere sufficienti a spingere il margine di solvibilità a quota 132% (28 punti base in più del 104% oggi stimato dagli analisti). Secondo le sale operative Peluso, da sempre favorevole all’aumento e plenipotenziario in Fonsai per il del tandem Unicredit-Mediobanca, potrebbe sfruttare le risorse aggiuntive per un definitivo giro di vite sulle riserve così da fare ripartire il gruppo senza «debiti» con il passato. Con ogni probabilità i Ligresti non dispongono delle risorse per seguire l’aumento: ipotizzando un prezzo di emissione di 35-40 centesimi contro i 70 cent segnati ieri in Borsa (-3,5% il titolo), per uno sconto sul «Terp» del 15%, la presa della holding Premafin scenderebbe dal 37% al 7-8%.
La pazienza delle banche creditrici è finita, ma si cercherà una soluzione «gradita al sistema» così da mantenere in Italia il controllo del secondo gruppo assicurativo del Paese: al contrario di Salvatore Ligresti, i tre figli sarebbero disponibili a passare la mano. La scommessa è che Amber (2,1%) copra la propria parte e che Unicredit (6,7%) faccia perlmeno altrettanto, mentre per quanto riguarda la quota di Premafin, circa 270 milioni l’impegno stimabile, Mediobanca e Unicredit stanno cercando un socio finanziario e uno industriale per rilevare i diritti: a bordo campo ci sarebbero il fondo Clessidra e la Sator di Matteo Arpe, oltre a gruppi stranieri Zurich o Munich Re. Più difficile l’impegno dell’italiana Unipol (che ha una solvency del 120%) e di Allianz per il probabile scoglio Antitrust. Tutti i soggetti sondati avrebbero comunque posto come precondizione il passo indietro dei Ligresti. Lo schema di priorità delle banche vedrebbe in particolare al primo punto l’aumento, quindi la diluizione dei Ligresti, un nuovo capo azienda e infine la scelta del socio forte. L’azione di «concerto» di Unicredit con altri gruppi potrebbe però non superare l’esame della Consob: il rischio è l’Opa obbligatoria, come era accaduto con il tentato accordo tra i Ligresti e Groupama. Se Piazza Cordusio, che è già il secondo socio di Fonsai, agisse in solitaria l’Opa resterebbe invece con ogni probabilità congelata perché prevarrebbe la clausola del «salvataggio». Alcuni analisti considerano pealtro per Unicredit vantaggioso agire da sola visto che Fonsai promette una forte rivalutazione una volta terminato il turn around: il consensus assegna a Fonsai 200 milioni di profitti nel 2013 per un Roe del 7 per cento. Al tramonto appare invece la gestione Ligresti, che oggi esprime Erbetta come capo azienda. Vista la tensione sui covenant, le banche potrebbe infatti decidere di escutere gli stessi diritti di voto sul pacchetto Fonsai in capo a Premafin (+5,4% in Borsa).

Senza contare la tensione a monte e i probabili dubbi dei revisori sui prezzi da «collezionismo», cui il pacchetto Fonsai è oggi iscritto nel bilancio della cassaforte. A breve potrebbe inoltre esserci una nuova stretta Consob sui soci occultati dai trust nei paradisi fiscali.

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