La fontana magica dell’eterna giovinezza

Mi reco ogni anno, per un breve periodo, in Sicilia (mia terra natia) accolto con tanto calore dai miei familiari e dai tanti amici dei tempi lontani della giovinezza.
Qui mi raggiunge la notizia della scomparsa di Valentina, coinvolta nell’incidente aereo di Linate. Dopo un mese, però, ho rincontrato Valentina (che già conoscevo).
Sono a Termini Imerese, in un bar. Per puro caso ascolto un animato discorso fra due clienti presenti nel locale. Dice uno: «Carmelu, a sintisti sta novità? A funtana si svigliò; nesci l’acqua e tutti currunu pi vivirisilla. Ora telefunu a me generu e mi ci fazzu purtari ca so machina. Voi veniri cu nuautri?»
L’altro risponde: «Mu dissi me mugliera, ca era in via Virdura pi accattari a spisa, ni sintiu parrari e di cursa mu vinni a diri a casa».
Conclude: «Se mi ci porti vegnu cu tia. A funtana magica ietta acqua, dopu cinquant’anni, curremu, curremu». I due si allontanano.
Commento brevemente con il barista che mi dice: «Andrò a bere di pomeriggio, non posso chiudere il bar perché sono solo».
A Chiarera è un podere di due ettari, sito ai piedi del Monte San Calogero, in Sicilia. Vi sono entrato una volta sola.
Il mio fraterno amico Totuccio, proprietario del terreno, mi aveva più volte proposto di visitarlo. Mi aveva anche detto che vi è uno zampillo d’acqua che sgorga da una fessura della roccia, e «l’acqua - mi dice - è magica: blocca i mali della vecchiaia». Altri dicono che fa rimanere giovani per sempre tutti coloro che hanno la ventura di berla.
Mi sono allora ricordato di un evento di pochi anni prima. Sono filatelico. Il dirigente di nota rivista (ove sono stati illustrate alcune rarità in mio possesso) mi aveva invitato a partecipare ad un convegno filatelico in Firenze, ove dovevo mostrare alcune rarità. Ho accolto la richiesta e ho partecipato a detta cerimonia. Ho modo di incontrare altri collezionisti, commercianti, ed antiquari che vendono, in tali occasioni, rari documenti, originali oppure fotocopie.
Alcuni noti documenti sono conservati nei rispettivi Archivi Storici, e di tali atti è possibile avere copia. Ogni documento (qui in vendita) ha una sua «sigla» e in un depliant a parte, per ogni «sigla» (cioè per ciascun documento) è riassunto il relativo contenuto. Ciò serve per avere all’istante dati sul contenuto di tali atti. Due «sigle» contenevano riferimenti a fatti avvenuti nel passato in Sicilia, e li ho acquistati. Devo confessare che non li ho letti subito, ma ho rinviato a tempi successivi.
Mentre sto compilando questo mio umile racconto, mi è sorta la curiosità di andare a leggerli. Ho così scoperto quanto segue: un documento porta la data del 1089, e in originale è conservato presso l’Archivio Storico di Palermo, l’altro porta la data del 1619, e in originale è depositato presso la Biblioteca Comunale Liciniana di Termini Imerese.
Riassumo con parole mie: si parla di acqua fatata, dai poteri straordinari, si parla dell’eroe Ulisse, sbarcato nella vicina Imera in viaggio in mare dalla Città di Troia verso l’isola di Itaca. Ha cercato la fontana magica, ma mi è parso di capire che non l’ha trovata. Si parla anche del Ciclope Polifemo, che per come è detto nel documento, viveva in una grotta alle pendici del Monte San Calogero.
Il podere «A Chiarera» ha 144 alberi di ulivi, e poi noci, aranci, carrubbi, querce. Nella parte alta del podere si vedono rocce affiorare ove le zolle già accolgono le pendici del monte, e poi filari di viti e fichidindia. Da una millenaria fessura sgorga l’acqua magica (quando verrà il tempo).
Nei paesi qua attorno si suole ricordare che l’acqua dona la perenne giovinezza, una beatitudine senza termine.
Rientro a casa a cercare mia sorella Giovanna, per raccontare quanto ho appreso. Non la trovo, è fuori per la spesa. La raggiungo nel vicino forno, e la sento dire: «Due filoni di pani tuscanu, beddu cottu, accussi piaci a me fratellu». Le racconto in breve la novità, e mia sorella mi dice: «Mu stava dicennu u furnaru, e mi dissi puru ca chiuri u furnu e cu so mugliera si vannu a viviri l’acqua di miracula, iamu a marina a pigghiari a machina Panda di Silvana, me nora, e partemu».
Sono pronto, andiamo al garage, metto in moto l’auto e iniziamo il viaggio.
Arriviamo in un quarto d’ora. Troviamo tanta gente, e tre vigili urbani che dirigono il traffico.
Dopo aver parcheggiato, a fatica, proseguiamo a piedi verso il cancello d’ingresso. Qui un signore ci ferma e ci ricorda che per superare il cancello occorre risolvere un enigma. Vi è un vaso di terracotta di forma antica pieno di bigliettini piegati, chi vuole entrare ne prende uno, lo deve leggere ad alta voce e dare la risposta. Io prendo il mio biglietto e così fa pure mia sorella, rispondiamo in modo esatto e così entriamo nel podere.
Durante il tragitto verso la fontana incontriamo tante persone che hanno già bevuto l’acqua e si allontanano verso l’uscita.
Ad un tratto sento delle voci di ragazze che cantano, mi guardo intorno e vedo Valentina. Ci corrono incontro festose. Parlano tutte insieme e ci dicono che hanno bevuto l’acqua magica e non invecchieranno mai. Mi dicono di andare avanti che loro ci aspettano. Valentina mi riconosce e mi sorride.
Con mia sorella Giovanna raggiungiamo la fontana. Vedo uscire dalla roccia un forte getto di acqua con un suono melodioso. Mi avvicino ancora, tendo le mani, ma l’acqua in quell’istante rallenta il suo flusso, ora esce a piccoli fiotti, tento di bagnarmi le mani, ma non vi riesco, la fontana è muta, secca, arida. Sono sorpreso ed irritato; allora mi sono ricordato di quei documenti che possiedo in copia, ove è anche detto che l’acqua esce solo per poche ore, per pochi istanti.
Guardo mia sorella che delusa mi dice: «Turnamu a casa, cà vinemu n’autra vota, quannu ci farannu sapiri ca a funtana si risvigliò». In verità già sapevo che l’acqua può uscire a distanza di anni, a volte ogni cento, a volte ogni mille. Dice mia sorella: «L’impurtanti è cà l’acqua sa viveru i picciriddi e puru Valentina».
Esco dal podere insieme ad altri, ma prima di varcare la soglia mi chiedo: dato che sono qui mi piacerebbe sapere perché il podere si chiama «A Chiarera». Vedo un gruppo di giovani che discutono, mi avvicino e chiedo. Prima di avere risposta mi accorgo di una bella Signora che è nei pressi. Le chiedo: posso farle una domanda? Sono curioso di sapere perché questo podere si chiama «A Chiarera». Mi sorride e ho così modo di apprezzarne l’eleganza nel suo bianco abito di forma antica, mentre intenso profumo di prati in fiore mi giunge al volto. Questa è la risposta. A pochi passi da qui vi è una piccola radura, ove fra l’erba alta sono presenti scaglie di quarzo, in quantità. Tale quarzo dà luce al pianoro. È come una luce che si alza dal terreno. Da qui il nome «A Chiarera». La ringrazio, si allontana. Mia sorella mi dice: «Chi brava Signura, a viristi quantu è bedda! Signuri accussi ci ni vurrissiru a tutt’u munnu». Seguo i movimenti della Signora che pare sparire oltre gli alberi, ma si ferma, si gira lentamente e ritorna verso di noi. Dice: «Ora vi dico la vera ragione del nome, che pochi sanno. Io sono giovane, perché ho bevuto l’acqua di questa fontana. Ogni volta che mi giunge voce (ove io risiedo, in un luogo da qui tanto lontano, che gli umani chiamano Monte Olimpo) che l’acqua è ricomparsa, ritorno qui, e racconto con tanta mia gioia quello che vi sto per dire». La bella Signora così, mi racconta che tanti anni addietro una bella principessina di nome Valentina era giunta da queste parti promessa sposa ad un Signore giovane e bello, il giovane più bello di tutta la terra di Sicilia.
Si sposarono con grandi feste e vissero felici, ma lo sposo innamoratissimo della principessa, era geloso e le impediva di uscire dal Castello (che aveva le porte e le inferriate tutte d’oro).
Un giorno lo sposo era fuori, a caccia, insieme ai suoi servitori, così Valentina ha modo di uscire di nascosto dal Castello, e giunse proprio qui; in questo podere, che al tempo aveva altro nome. La principessa - da sola - passeggia nel pianoro, ove oggi vi sono le scaglie di quarzo. Ogni impronta dei suoi piccoli piedi lascia un raggio di luce, un raggio di luce ad ogni passo.
La luce della piccola radura si allargò a tutto il podere. E chi ammirava tale splendore diceva: «Avete visto? Quanta luce?» Da questa luce è nato il nome «A Chiarera».
La bella Signora ha concluso il racconto e mi dice di chiamarsi Ebe. Si allontana la vedo sparire tra le agavi e i fichidindia, mentre una leggera nebbia azzurra si leva attorno.
Dice mia sorella: «A sintisti chi bedda storia antica? Avemu tutti sempri di imparari. È giustu accussi, quannu viru i me figghi ci la cuntu». Usciamo dal cancello. Raggiungiamo l’auto e torniamo a casa.

Continua mia sorella: «Sta storia mi culpiu, la vogghiu cuntari puru a le mie nuori, Silvana e Stella, e puru a li mie niputine».
Ma chi bedda fimmina! Le ragazzine hanno bevuto l’acqua fatata, e pure Valentina, la principessa che rimarrà giovane per sempre nella sua splendida dolcezza e che, gioca felice nei prati verdi delle Beatitudini.

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