Le forchette del Gambero premiano la semplicità

Paolo Marchi

da Roma

Non si scappa: con l’autunno arrivano le castagne, il vino novello e le guide ai migliori ristoranti d’Italia. Ieri festa grande in Campidoglio a Roma per quella del Gambero rosso, dieci giorni fa è stata la volta dell’Espresso e dell’Accademia italiana della cucina (strano ma vero: è solo tutta su internet), a fine ottobre sapremo della guida alle osterie dello Slow food e il 28 novembre arriverà la Michelin, il cui modello pomposamente francesizzante sarà anche in crisi ma che con le sue stelle, date o tolte, cambia letteralmente la vita di un ristoratore. È però anche vero che la guida del Gambero, considerando pure la forza della rivista, del canale satellitare e della Città del gusto qui nella capitale, incide fortemente sulle fortune e sfortune di un cuoco.
Se la Michelin regala un pieno di felicità anche dando una sola stella, con il Gambero conta entrare nel club delle tre forchette ovvero di quei posti che hanno meritato almeno 90 centesimi sommando tra loro i voti dati a cucina, cantina, servizio e ambiente. Con il 2007 le tre forchette sono salite a 23, come mai in passato, segno che la cucina italiana gode di buona salute, si spera presto pure ottima. Erano 22: due le bocciature, tre le promozioni e questo è il giochetto più facile da ricordare. Sono durate un paio di anni le tre forchette a Lorenzo a Forte dei Marmi (Lucca), il pesce al suo massimo, sono durate lustri quelle all’Ambasciata di Quistello (Mantova), il cui lusso barocco, nei piatti e nell’arredamento, non è mai piaciuto al neocuratore Marco Bolasco, anni 32, all’opposto in questo rispetto a chi lo ha preceduto, il notaio Giancarlo Perrotta. Tre le novità e una è una leggenda, Gualtiero Marchesi, un tempo a Milano e da oltre un decennio a Erbusco in Franciacorta e nel contempo rettore di Alma, l’università del gusto a Colorno (Parma) dove tra un mese presenterà il Codice Marchesi, la summa di una vita, la codificazione della cucina italiana come quasi un secolo fa fece Escoffier con quella francese. Per il Divino un ritorno che mitiga in lui l’amarezza verso la pubblicazione dell’Espresso, il cui curatore, Enzo Vizzari, da lui ha mangiato il piatto più sballato dell’anno. In vista degli ottant’anni, e senza aver mai fatto nulla per farsi ben volere dai suoi colleghi, che critica senza mai nascondersi dietro finti perbenismi, Marchesi ieri è stato salutato con una standing ovation spontanea prima di lanciare un messaggio a un movimento che in pratica ha iniziato lui: «I barocchismi nel piatto non servono, bisogna essere semplici», che non vuole dire essere sciatti e vuoti di contenuti, cosa in fondo rimarcata da Fulvio Pierangelini del Gambero Rosso a San Vincenzo (Livorno), il massimo dei massimi sia per il Gambero (lo stesso punteggio, 96/100, di Gianfranco Vissani) che per l’Espresso (19,5 ancora come Vissani e da quest’anno anche Massimiliano Alajmo delle Calandre di Rubano fuori Padova): «Spesso le cose complicate sono il rifugio di chi non è sicuro del fatto suo».
Dopo Marchesi, le nuove tre forchette arrivano da Ragusa, Ciccio Sultano del ristorante Duomo, e da Bra (Cuneo) dove all’interno dell’Università del gusto dello Slow food due famiglie, che gestivano due ristoranti distinti, si sono fuse in un’unica realtà, il Guido da Pollenzo. Il pesce di Savino Mongelli si è sposato alla tradizione di terra degli Alciati di Costigliole, nella circostanza incarnata dal giovane Ugo.

Poi però, accanto alle tre forchette, brillano i tre gamberi, il riconoscimento, che sarà oggetto di una festa speciale, per le trattorie, per quelli che Bolasco ha definito a ragione «i locali dove la gente va» e che la sua guida sa valorizzare in pieno. Il meglio del meglio accanto al meglio per ogni giorno.

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