Ford anticipa la campagna Usa di Marchionne

RomaSarà il Messico il fulcro della sfida che dal 2011 opporrà due icone delle quattro ruote: la «500», che uscirà dall’impianto Chrysler di Toluca (quattro le varianti previste sotto questo brand: berlina, cabrio, giardinetta e una sportiva), e la Ford Fiesta, per il cui assemblaggio è stata scelta la fabbrica di Cuatitlàn. Per gli automobilisti americani il futuro sembra essere sempre più orientato verso modelli di taglia compatta, una vera rivoluzione che vede l’offerta small europea non più sinonimo di tendenza (come per Smart e Mini), ma un’esigenza dettata dal dover risparmiare in termini di consumi ed emissioni.
La «piccola» Ford, comunque, partirà negli Stati Uniti con un anno di vantaggio rispetto alla «500». E anche per la casa guidata da Alan Mulally, Fiesta si candida a diventare il simbolo del cambio di mentalità a cui sta andando incontro la popolazione a stelle e strisce. Il duello tra Ford, da una parte, e Chrysler-Fiat dall’altra, in attesa che General Motors esca dal «Chapter 11» e ritrovi la fiducia dei consumatori, è dunque già cominciato. «Negli Stati Uniti - spiega Gaetano Thorel, numero uno di Ford Italia - in questo momento il buy american nell’ambito automobilistico si chiama Ford. Inutile negare, in proposito, che il marchio ha approfittato anche degli spazi lasciati liberi da Gm e Chrysler». Thorel non nasconde anche l’altra importante carta che Mulally ha in mano e che, agli occhi del consumatore Usa, non è sicuramente di poco conto: «Quella - aggiunge il manager italiano - che vede Ford continuare a camminare con le proprie gambe, senza aver dovuto attingere agli ingenti fondi messi a disposizione dalla Casa Bianca a favore di Gm e Chrysler». Come Sergio Marchionne, il risanatore di Fiat Group, anche Mulally, amministratore delegato di Ford, ha un passato slegato dall’auto. Un trait d’union che ha portato bene ai due top manager, a differenza di altri colleghi super specialisti del settore, come Rick Wagoner (Gm), travolti inesorabilmente dallo tsunami della crisi. La strategia adottata dall’ex capo della Boeing ha permesso al gruppo Ford di presentarsi, nel momento topico della crisi, nelle condizioni migliori per resistere alla bufera e uscirne contando sui propri mezzi. «Tutto è partito nel dicembre 2006 - ricorda Thorel - con i 24 miliardi di dollari raccolti da Mulally, attraverso una serie di ipoteche, serviti per finanziare il suo piano d’azione. Altra pietra miliare è l’accordo raggiunto l’anno successivo con i sindacati che ha permesso di riequilibrare i costi previdenziali, riducendo così il gap con le case giapponesi che producono in Usa. Altro passo determinante sono stati il taglio del debito di oltre 10 miliardi di dollari, mossa che ha comportato la considerevole diminuzione, pari a 500 milioni di dollari, degli interessi passivi annui. Lo scorso marzo, poi, Mulally si è nuovamente accordato con i sindacati per la riduzione del costo della manodopera da 76 a 55 dollari. E l’ultima mossa, in ordine di tempo, riguarda l’aumento di capitale per 300 milioni di azioni, con l’obiettivo di raccogliere fino a 1,8 miliardi di dollari in parte destinati a finanziare il fondo pensionistico del gruppo».

Queste le mosse che hanno consentito a Ford di non battere cassa al governo (il recente prestito di 5,9 miliardi ottenuto dal Dipartimento dell’Energia servirà ad agevolare la produzione di veicoli meno inquinanti) ed evitare i problemi in cui sono incappate Gm e Chrysler. E alla ripresa del mercato sarà subito sfida tra Fiesta e «500».

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