Prima di partire per le Filippine, padre Giancarlo Bossi aveva rassicurato la famiglia: «Tranquilli, vedrete che non mi succederà niente». Ora, a cinque giorni dal suo rapimento, il fratello Marcello ricorda quelle parole, dette di fretta in dialetto tra una valigia e gli ultimi preparativi della missione. E si sente ottimista. «Sono fiducioso - spiega - So com'è fatto e so che sono molti quelli che gli vogliono bene. In famiglia siamo convinti che le autorità faranno tutto il possibile». Un appello? No, niente appello. «Non me la sento, non saprei a chi lanciarlo. Non c'è stata nessuna rivendicazione». A pensarci, al suo posto, è il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni che chiede di tenere alta l'attenzione sul rapimento del missionario.
«Il rapimento ci pare del tutto ingiustificato - spiega- Abbiamo aperto tutti i canali di comunicazione possibile perché questi casi si possono risolvere più facilmente se c'è una mobilitazione permanente».
Il primo contatto è con il console filippino, Pedro Chan, ieri ospite del Pirellone. «Assicuro alla famiglia di padre Bossi - dice il console, convinto di non alimentare false speranze - che il governo filippino sta facendo tutto ciò che può per liberarlo. La zona è stata circoscritta e i nostri amici americani ci stanno aiutando a sorvegliarla per evitare che il missionario venga consegnato ai terroristi. Da quello che sappiamo, i rapitori dovrebbero essere due o tre. Siamo fiduciosi che tutto si risolverà per il meglio». I contatti con il governo filippino e con la Farnesina sono quotidiani. «Chiediamo a chiunque possa fare qualcosa - invita Formigoni - a farlo. Si parli il più possibile di quanto accaduto».
Nell'attesa, la comunità di Abbiategrasso, paese di origine di padre Bossi, sta organizzando una fiaccolata di solidarietà per la prossima settimana e momenti di preghiera in parrocchia. Le telefonate, gli sms, le mail alla famiglia del missionario non si contano più e in campo, per fare qualcosa per il prete che lo ha accudito quando era piccolo, è sceso anche Simone Rota, un giovane filippino, calciatore professionista della Pro Sesto. «Chiedo che all'appello per la liberazione di padre Bossi - dice - si uniscano anche i calciatori più famosi di me. Mi aiutino in questa impresa». «Ho appreso la notizia con grande dispiacere e leggo, purtroppo, che ancora non ci sono notizie rassicuranti - aggiunge Simone Rota -. Non conosco personalmente padre Bossi, ma so benissimo con quanto amore e quanto impegno preti e suore missionarie lavorano nella mia terra dorigine. Non so se il mio appello potrà servire, ma mi rivolgo ai rapitori di padre Bossi chiedendo loro di liberare subito un uomo di pace che ha fatto e continua a fare del bene per moltissime famiglie e bambini che vivono nel disagio».
A parlare della spinta di solidarietà che ha portato padre Bossi ad andare nelle filippine è Davide Sciocco, direttore del Pime di Milano: «Noi missionari - racconta - sappiamo che ci esponiamo a forti rischi. Tuttavia scegliamo di andare in quei luoghi non certo per metterci nei pasticci ma per aiutare la gente che vive lì».
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