Formigoni non rinuncia a fare jogging e al Milan

MilanoQuando Roberto Formigoni cominciò a fare politica c’era ancora la Democrazia cristiana. E ci sarebbe stata ancora per molti anni. Così il governatore, sul cui regno di Lombardia sembra non dover mai tramontare il sole, ha collezionato le tessere di Dc, Gioventù studentesca che poi diventerà Comunione e liberazione, Movimento popolare, Ppi, Cdu, Forza Italia e ora Popolo della libertà. Praticamente l’intera storia dell’Italia repubblicana vista dalla sponda moderata di centrodestra. E cattolica. Perché questa è la vera cifra del Celeste, come lo chiamano con ironia gli avversari e con deferenza gli amici. Ieri al seggio i fotografi scherzavano: «Per farlo girare verso l’obiettivo noi gli gridiamo “Presidente!”. Quando c’è Penati (lo sfidante pd) tutti urlano solo “Filippooooo”». Una distanza che lui impone anche senza volerlo, nonostante i 15 anni già passati al Pirellone, la meraviglia di Gio Ponti sede della Regione Lombardia. Dove lui si presenterà puntualmente oggi prima della nove. «Devo rimettere a posto un po’ di carte - racconta come se quella fosse casa sua. Per sempre -. Ci sono alcuni appuntamenti importanti da preparare». E i risultati? «Dopo le quattro, con le prime proiezioni. Mi sono fatto portare un paio di televisori in più per seguire tutte le trasmissioni». Contemporaneamente. Da sempre un’abitudine di Formigoni, laurea in filosofia e l’incontro con don Giussani che gli cambiò la vita. E che la politica fosse nel suo destino, era scritto nel nome del suoi compagni di banco al liceo classico Manzoni di Lecco: Roberto Castelli che diventerà uno dei colonnelli della Lega e Giorgio Goggi, assessore di peso nella giunta di Gabriele Albertini.
Ieri il voto quasi all’alba. L’appuntamento alla scuola elementare Antonio Locatelli era per le 9.30. «Ma c’era l’ora legale e così erano le 8.30», riconosce. Uno dei pochi intoppi di una campagna elettorale condotta a marce forzate. Come sempre. E nonostante il divario dallo sfidante sia stato sempre abissale. Non importa. «In Lombardia votano in 7 milioni. Basta un nonnulla. Non è facile prevedere i comportamenti. A proposito l’affluenza a che punto è?». Bassina. «È una bella giornata, la gente tornerà a votare. Risalirà». C’è fiducia. Magari non quella assoluta di Ignazio La Russa che ha promesso di mangiarsi un asino vivo se la Lega sorpasserà il Pdl. «Il sorpasso? Solo un caso montato dai giornali. Manterremo i nostri tanti punti di vantaggio. Forse in Veneto». Lì dove il leghista «gellato» Luca Zaia si è divorato Giancarlo Galan, l’uomo Publitalia trasformato da Berlusconi in governatore di lungo corso. Altra storia.
Intanto Formigoni assicura: «Io a votare ci vado sempre prestissimo. Dev’essere la prima cosa che si fa. La politica è affare nobile, delicato». Fatto anche di segni. «Un vero politico deve mettersi sull’attenti. E prendere ordini dal suo popolo. Leggeremo i risultati e poi obbediremo». Intanto la giornata prevede lettura dei giornali, un’ora buona di corsa al parco, passeggiata in centro e «in serata allo stadio a vedere il Milan. Speriamo». Entusiasmo per uno scudetto più vicino. Ma anche per un quarto mandato. Dopo quindici anni? «L’entusiasmo è lo stesso, anzi maggiore della prima volta - assicura Formigoni -. Quando sono arrivato la Regione era una Cinquecento scassata. Gente demotivata, uffici sgangherati».

Era il ’95, un’era fa. «Oggi è una Ferrari». La giunta? Nessuna esitazione. «A fine aprile». Le prime cose da fare? «Due comitati: uno per eliminare la burocrazia e l’altro per consentire alle donne di conciliare famiglia e lavoro».

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