Formigoni non trasloca a Roma: "Sono perplesso, ne riparliamo"

Il Cavaliere "blinda" la Regione: "Elezioni? La gente non capirebbe". Il governatore contro Bossi e Fini chiede un posto al governo nel 2010

Formigoni non trasloca a Roma: 
"Sono perplesso, ne riparliamo"

Roberto Formigoni è nervosissimo quando esce da Arcore, dove ha incontrato per trenta minuti il futuro premier, Silvio Berlusconi. L’incontro era stato stabilito per definire il futuro politico di Formigoni. Il governatore della Lombardia sapeva bene quel che il Cavaliere gli avrebbe prospettato, ovvero un nuovo invito a rimanere alla guida della Regione fino al 2010, scadenza naturale della legislatura regionale. Ma nonostante fosse stato ampiamente informato, ha voluto insistere per un ruolo romano, se necessario nel 2010, perché è convinto che questa sia la partita della vita.

Ha ottenuto ventiquattr’ore di ulteriore riflessione e stasera Berlusconi e Formigoni si rivedranno a Roma. Due anni fa aveva rinunciato al Senato per restare al Pirellone e in molti adesso dalla Capitale gli ricordano l’«errore» di non aver rischiato il salto in Parlamento quando la Cdl era all’opposizione, preferendo continuare a mantenere la guida della Lombardia. Lunedì scorso Giancarlo Galan ha rinunciato a un ruolo di governo per «senso di responsabilità».

È il turno di Formigoni. «Tutto bene, tutto bene» sibila Formigoni appena uscito da villa San Martino rimanendo blindato in macchina. Ha ventiquattro ore di tempo per riflettere sui contenuti del colloquio con Berlusconi, che gli ha ventilato per il futuro «un prestigioso incarico nel partito».
Formigoni però non si accontenta e fonti a lui vicine riferiscono che «è fortemente perplesso» dall’ipotesi di accontentarsi di Regione e partito. Un eufemismo per dire che è molto arrabbiato e anche pesantemente insofferente, come trapela dagli attacchi rivolti a entrambi i leader di An e Lega, Gianfranco Fini e Umberto Bossi, che hanno previsto una sua permanenza al Pirellone. «Non sono loro a decidere, ma io e Berlusconi, che vedrò domani» la sua replica stizzita.

Nel colloquio con Berlusconi ha insistito per entrare al governo almeno nel 2010, con una staffetta che coinvolgerebbe un leghista. L’incarico a cui punta (e che piacerebbe anche a Comunione e liberazione) sarebbero le Attività produttive, al quale tra l’altro fonti leghiste dicono che è interessato anche Roberto Maroni, destinato (almeno al momento) al ministero degli Interni.
La posizione del presidente del Pdl è chiarissima. Berlusconi gli ha spiegato che «la gente non capirebbe» elezioni anticipate di due anni dopo che il Pdl ha vinto con una maggioranza così schiacciante. Per la coalizione sarebbe un grave danno di immagine. Senza contare che la Lega, già forte del 21 per cento ottenuto alle politiche, potrebbe allargarsi ancora grazie al volano del candidato presidente, con il rischio di creare tensioni inevitabili durante una competizione elettorale. Lo riconosce anche Umberto Bossi: «Penso che Formigoni resterà in Lombardia. Forse Berlusconi ha ragione, c’è il rischio di creare una contrapposizione tra alleati che non è necessaria».
In Regione intanto si respira un clima di tensione, soprattutto nei banchi della Lega. Ieri è stata nuovamente rinviata l’approvazione del piano cave di Bergamo che è scaduto nel 2002. A chiedere la sospensione è stato l’assessore all’Ambiente Marco Pagnoncelli (su indicazione dei vertici del partito), a causa della contrapposizione tra le due anime lumbard in consiglio regionale, che hanno visioni diverse su quando e come combattere la partita per la Regione Lombardia: i duri e puri vorrebbero portare a casa la Regione subito, contro l’opinione di chi invece preferisce una transizione più morbida nel 2010.

Non tutti sono felici per il ruolo di Roberto Castelli, che nell’attesa di giocarsi la partita per il Pirellone è stato candidato da Bossi a essere viceministro delle Infrastrutture, con una delega sul Nord che gli servirebbe ad «assaggiare» le grandi opere che si preparano in Lombardia.
Non manca il sollievo di chi vede allontanarsi le elezioni, che a molti erano sembrate ormai inevitabili in autunno.

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