Fornero studia da Thatcher per scalare Palazzo Chigi

Un sondaggio la vede gradita dal 70% degli elettori del Pd

Fornero studia da Thatcher per scalare Palazzo Chigi

Decisionista, nel piglio e nella sostanza, tanto da fare venire l’esaurimento nervoso a sindacalisti e imprenditori. Libera di punzecchiare i colleghi quando fanno scelte che non le piacciono. Con chi si mette di traverso lungo la sua strada, poi, Elsa Fornero non ha pietà. Li stende con cortesia e, se il malcapitato viene sospettato di sessismo, ci aggiunge un altro carico.

Dice che l’etichetta di nuova Margareth Thatcher non le si addice, ma sa che non è vero. Così come sa che tanto attivismo alla fine farà aumentare i sospetti che il suo obiettivo per il post Monti sia molto politico, magari Palazzo Chigi. Un saggio lo ha dato ieri, proprio nell’intervista a SkyTg24. I litigi con Passera? «Io sono una piemontese con i piedi per terra e forse Passera ha invece una visione del tipo: le cose andranno bene. Ed è giusto che sia così. Noi comunque insieme andiamo bene». Il ministro per lo Sviluppo è servito. Pericoloso concorrente se Fornero decidesse di fare il salto, visto che è proprio Passera il collega con il potenziale politico maggiore. E che occupa, più o meno, lo stesso spazio: liberale, tecnico, non sgradito alla sinistra.

Le altre prove di forza? C’è quella con il viceministro Martone. Prima la polemica sulle deleghe che non arrivavano. Poi lo scivolone del giovane economista sui fuori corso universitari che sono degli «sfigati». «Non avrei usato la sua frase sui laureati. Sono abituata a lavorare con gli studenti (anche Martone è professore, ndr), ma non voglio nemmeno accusare il mio viceministro per una frase un po’ infelice». Tollerante, ma ferma con il suo numero due. Prodiga di mazzate - proprio come la Lady di ferro originale - con chi le manca di rispetto. Come il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo, che l’aveva definita, citando una vignetta, una «fontana che piange». A lui ne sono arrivate due: «Con una tradizione un po’ maschilista - prima mazzata - mi ha mandato degli splendidi fiori e quindi considero l’incidente chiuso. In questo rivelo la mia debolezza femminile: quando uno che è stato un po’ villano con me - seconda - mi manda dei fiori, io lo perdono». C’è da non crederle.

È invece probabile che Fornero cerchi, come Thatcher con i minatori di Arthur Scargill, un braccio di ferro con chi non vuole cambiare. Comunque non lo teme, e liquida la possibilità che i sindacati portino in piazza milioni di persone in difesa dell’articolo 18, come un rischio calcolato. «Questo governo ha l’ambizione di fare le politiche per il Paese e questo Paese è fatto anche da tanti che non hanno rappresentanze». In perfetto stile Maggie: io servo gli interessi generali, sindacati e partiti rappresentano loro stessi o poco più.

C’è anche la sostanza. Il posto fisso? «Nessuna demonizzazione». Affermazione che significa poco. L’articolo 18? «Nessuno potrà licenziare per motivi discriminatori». Infatti l’articolo 18 riguarda i licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo, che sono un’altra cosa. Ce n’è anche per Confindustria: «Noi vogliamo dire agli imprenditori: se vuoi la flessibilità la devi pagare». Toni troppo di destra per una potenziale candidatura nell’unico possibile approdo, cioè il centrosinistra? Dalla sua ha un sondaggio commissionato da un Pier Luigi Bersani, molto preoccupato, che dimostra il contrario.

Oggi, proprio mentre si appresta a smantellare un paio di punti fermi della sinistra (articolo 18 e sacralità della concertazione), Fornero ha raggiunto il picco di popolarità, circa il 70%, tra gli elettori del Pd. In fondo, è quello che serve alla sinistra: qualcuno che dica e faccia cose di destra.

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